La debolezza dell’inflazione Usa non è una minaccia per i mercati

A cura di François-Xavier Chauchat, Economista e Membro del team di investimento di Dorval AM

Economisti e investitori si interrogano sul calo dell’inflazione sottostante osservato negli Stati Uniti negli ultimi mesi. I rendimenti obbligazionari sono diminuiti, un’evoluzione amplificata dalla flessione dei prezzi del petrolio. A fronte del continuo calo del tasso di disoccupazione e della prossima correzione di alcuni fattori tecnici, ci sembra improbabile che l’inflazione sottostante possa restare così bassa nei prossimi mesi. Ne è convinta anche Janet Yellen: ecco perché il 14 giugno la Fed ha alzato i tassi di altri 25 punti base. Bisogna pertanto ammettere che il rischio che il nostro scenario di normalizzazione progressiva dell’inflazione non si realizzi è aumentato. Ma non c’è fretta: o l’inflazione risale nel corso dell’estate, o la Federal Reserve sospenderà le manovre di rialzo dei tassi. Nessuna delle due possibilità rappresenta una minaccia per i mercati.

Un’inflazione più debole del previsto e le dichiarazioni di Mario Draghi dovrebbero alleviare i timori legati a un tapering della BCE nel 2018. Ci sentiamo quindi più propensi a investire nell’Europa del sud. I paesi dell’area hanno recuperato la competitività di prezzo e si sono finalmente liberati dalla trappola del debito che li attanagliava dal 2008. In effetti, il costo del debito non è più superiore alla crescita economica; di qui la maggiore sostenibilità del debito pubblico e privato. La situazione dovrebbe migliorare ulteriormente con i negoziati sul debito greco, che riprenderanno dopo le elezioni tedesche.

Sebbene i fondamentali macro e microeconomici siano tuttora favorevoli, le valutazioni azionarie, soprattutto ma non solo negli USA, suscitano crescenti perplessità. Chiaramente le quotazioni sono alte, anche in considerazione della prosperità delle società e del basso livello dei tassi reali. In base alla nostra analisi, la valutazione settoriale a Wall-Street suggerisce che contrariamente a quanto si sente dire talvolta, l’informatica non è più responsabile del P/E elevato dell’S&P 500. Sono le aree legate alle materie prime e quelle difensive che presentano P/E particolarmente elevati, dato il modesto livello dei prezzi delle materie prime da un lato e il contesto di tassi molto bassi dall’altro.

La scarsa volatilità e l’ottimismo degli investitori sono altri due fattori spesso citati da chi denuncia la sopravvalutazione dei mercati. Tuttavia, la storia ci insegna che la volatilità può restare bassa abbastanza a lungo e che il livello su cui si attesta di per sé è poco significativo. Inoltre, il crescente ottimismo sull’Europa non sembra aver provocato un’esplosione dei flussi. Gli investitori guardano con favore alle borse europee, ma non sono ancora accorsi in massa.

Infine, sta succedendo qualcosa d’importante in Giappone: i profitti aziendali sono aumentati notevolmente mentre lo yen non si è indebolito. Ciò significa che la domanda interna è ormai la fonte principale della ripresa, un segnale incoraggiante. Nelle ultime settimane abbiamo investito in un paniere di 40 small e mid cap nipponiche molto sensibili alla domanda interna, con ottimi risultati.

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