Emergenti, quali rischi dal calo della liquidità globale?

A cura di Craig Botham, Emerging Markets Economist, Schroders
Per un po’, i bilanci dei Mercati Emergenti non sono stati determinanti per i movimenti del mercato. Probabilmente l’ultima volta è stata nel 2013, quando le parole di Bernanke, allora capo della Fed, sulla possibile riduzione del QE causarono la brusca vendita degli asset emergenti, il cosiddetto taper tantrum. Ad essere particolarmente colpite furono le economie con ampie posizioni sull’estero e, quindi, con una forte dipendenza dalla liquidità del dollaro.
Oggi, le Banche Centrali stanno riconsiderando le misure non convenzionali. La BCE sta discutendo la riduzione (tapering) del QE e ci aspettiamo che il processo venga completato entro fine 2018. La Fed sta valutando di ridurre la dimensione del bilancio, quello che sembrerebbe un cambiamento più sostanziale rispetto al tapering, anche se finora gli asset emergenti hanno mostrato scarse reazioni. La politica monetaria sta diventando più restrittiva anche in Cina, dove i tassi sul mercato stanno salendo anche se i tassi di riferimento sono invariati. In ogni caso, sebbene il bilancio della Fed vada verso un restringimento, continuiamo ad aspettarci che nel complesso i bilanci delle Banche Centrali aumenteranno.
Ciò indica che il supporto per i mercati può potenzialmente proseguire, ma la diminuzione della liquidità del dollaro potrebbe causare difficoltà ad alcuni Emergenti con fortemente dipendenti da esso. Al di là degli effetti legati direttamente ai bilanci, da sottolineare il fatto che ci aspettiamo più rialzi dei tassi della Fed rispetto alle attese. Si tratta di una situazione che si svilupperà meglio nel 2018, e che probabilmente metterà in difficoltà gli asset rischiosi, compresi quelli dei Mercati Emergenti.
Abbiamo comparato i dati più recenti con la situazione successiva al taper tantrum. I miglioramenti sono notevoli per la maggior parte delle economie: si può avere una certa tranquillità riguardo alle prospettive di riduzione della liquidità. In ogni caso i livelli sono ancora elevati, e per un piccolo gruppo di Paesi sono addirittura aumentati. Continuiamo a ritenere che Sudafrica, Turchia, Perù, Cile, Colombia e Malesia siano a rischio, sulla base di questa metrica.
Sebbene la dipendenza dai finanziamenti esteri sia un fattore importante, la forte crescita del credito domestico potrebbe rappresentare un altro rischio, se la liquidità globale dovesse diminuire. Le Banche Centrali degli Emergenti potrebbero essere obbligate a irrigidire la politica monetaria per difendersi dall’impatto inflazionario dei movimenti dei cambi e per prevenire ingenti deflussi di capitale. Dopo la crisi, l’America Latina e i Mercati Emergenti asiatici (anche escludendo la Cina) hanno visto un processo relativamente rapido di aumento della leva finanziaria nel settore privato, molto più contenuto nell’area EMEA. Ciò aumenta le probabilità che affiorino problemi legati alla qualità del credito, soprattutto se i tassi proseguiranno al rialzo.
La domanda è quindi se la Banca Centrale di un certo Paese sarà obbligata ad alzare i tassi in risposta alle politiche più restrittive degli Istituti Centrali più importanti, o meno. Storicamente, le Banche Centrali degli Emergenti hanno dovuto seguire la Fed per difendersi dalle fughe di capitale e dai movimenti delle valute. Tuttavia dobbiamo tenere in considerazione il fatto che le monete emergenti sono già scese significativamente dopo il taper tantrum, un importante motivo della loro attuale stabilità.
Le fughe di capitale sono più probabili per le economie che hanno un grande afflusso di portafogli. Gli investimenti diretti esterni tendono infatti a essere più stabili e meno sensibili ai cambiamenti dei tassi di interesse nel breve termine. Esistono differenze significative tra i Mercati Emergenti in questo ambito: Cina e India sono economie meno esposte agli umori degli investitori, grazie ai controlli sul capitale, mentre i mercati liquidi del capitale di Sudafrica, Messico e Corea contano per una quota significativa del Pil. Se i capitali dovessero tornare negli Stati Uniti con la normalizzazione dei tassi, l’impatto sul rand sudafricano, sul peso messicano e sul won coreano dovrebbe essere maggiore che sul renminbi, sulla rupia e sul rublo.
Riguardo agli effetti inflativi dei movimenti valutari, questi saranno generalmente maggiori per le economie più aperte, dove le importazioni di beni contano per una parte più ampia del Pil. Inoltre, se una Banca Centrale dovrà alzare o meno i tassi dipenderà anche da altri fattori che impattano sull’inflazione. In particolare, l’aumento dei prezzi nelle economie che erano già ad alta inflazione, come India, Brasile o Russia, è stato molto più debole del normale. I Mercati Emergenti sono in generale meglio posizionati per assorbire uno shock inflazionario rispetto al passato. Ciò non significa che la politica monetaria non ne sarà influenzata, piuttosto che essa ha il potenziale per limitare l’aumento dei tassi.
In conclusione, visto che ci aspettiamo che l’espansione dei bilanci della Banca Centrale nel complesso continui quest’anno, e che la riduzione del bilancio della Fed non è prevista prima di settembre, le condizioni della liquidità globale non dovrebbero minacciare tutti i Mercati Emergenti quest’anno. Tuttavia, dato che ci aspettiamo che la Fed sorprenda il mercato con un atteggiamento più aggressivo di innalzamento dei tassi, vediamo una serie di rischi all’orizzonte per il 2018, soprattutto per i Mercati Emergenti più esposti. Il Sudafrica e la Turchia, insieme ad alcuni Paesi dell’America Latina, sembrano vulnerabili. Al contrario, i Paesi Emergenti di Europa ed Asia sembrano protetti dai loro livelli inferiori di debito e inflazione, e dai tassi di interesse reali più elevati.

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