Le A-share cinesi negli indici Msci potrebbero trasformare i mercati finanziari

A cura di James Kenney, Senior Investment Manager, Pictet Am
Per il momento, la decisione dell’MSCI di introdurre azioni della Cina continentale nell’indice dedicato ai mercati emergenti sta producendo una scossa di entità minore nel mondo degli investimenti. Il terremoto vero e proprio potrebbe manifestarsi più avanti.
I titoli azionari cinesi locali – le A-share – rappresenteranno poco più dello 0,7% dell’indice azionario MSCI Emerging Market quando saranno introdotti per la prima volta nel paniere del benchmark, a metà del prossimo anno. Nel breve termine, ciò non comporterà cambiamenti drastici nei portafogli azionari globali.
Nel lungo periodo, tuttavia, questa novità potrebbe comportare una profonda trasformazione sui mercati finanziari internazionali, pari a quella che ebbe per l’economia mondiale l’inclusione della Cina nel WTO, nel 2001.
Avallando gli sforzi di apertura di Pechino, che consente l’accesso degli investitori stranieri al mercato azionario cinese, l’MSCI potrebbe facilitare in diversi modi l’ascesa del Paese ai vertici della classifica dei mercati finanziari mondiali.
Da un lato, in questo momento possiamo prevedere un’accelerazione delle riforme di mercato nella seconda più grande economia mondiale. Il recente lancio di un canale di trading diretto tra le borse valori di Shenzhen e Hong Kong e la riduzione dei casi di sospensione delle negoziazioni sono l’inizio di ciò che, a nostro avviso, costituirà una riforma molto più radicale del mercato finanziario e del contesto normativo.
Per di più, l’emergere di un mercato azionario aperto ed efficiente potrebbe contribuire ad ancorare l’economia cinese su basi più sostenibili, incoraggiando le imprese nazionali a utilizzare il proprio patrimonio come fonte di finanziamento, anziché ricorrere all’emissione di titoli di debito. Nell’attuale stato di cose, il ricorso al credito delle imprese cinesi raggiunge l’impressionante livello del 156% del PIL nazionale. Il cambiamento dovrebbe dare agli investitori internazionali una maggiore fiducia nei titoli cinesi.
Tutto sommato, la decisione dell’MSCI rafforza la nostra convinzione che tra soli cinque anni le azioni cinesi figureranno tra i più importanti investimenti internazionali.
Naturalmente non vi sono garanzie per quanto riguarda le riforme. Il programma di trasformazione della Cina è ambizioso ma complesso e difficilmente potrà essere realizzato senza intoppi. Attualmente, circa due terzi delle società quotate cinesi sono in qualche modo a partecipazione statale, e i loro standard di governance sono meno evoluti di quelli dei Paesi avanzati. Allo stesso tempo, le autorità faranno bene a perdere l’abitudine di intervenire sui mercati ogni volta che il sentiment degli investitori cambia. In passato, i tentativi di stabilizzare le condizioni di mercato acquistando titoli azionari e ponendo limiti alle negoziazioni si sono dimostrati controproducenti.
Ciò nonostante, la Cina ha fatto molti progressi verso l’internazionalizzazione e crediamo che non sarà facile fermarla. Entro i prossimi dieci anni, se non prima, i titoli denominati in renminbi saranno una componente primaria nei portafogli degli investitori di tutto il mondo, allo stesso modo in cui lo sono oggi gli investimenti denominati in euro e in dollari. I titoli cinesi costituiscono solo il 3% dei portafogli azionari globali, benché la loro capitalizzazione di mercato complessiva di 9.000 miliardi di dollari sia superata solo da quella degli Stati Uniti, che rappresentano oltre il 50% dell’indice MSCI World.
L’aspetto negativo di questo processo di riallocazione è costituito da un relativo declino dello status degli asset finanziari americani, e dalle conseguenti pressioni sui Treasury. È probabile che valute di riserva di second’ordine, come lo yen giapponese e la sterlina, perdano di importanza nel panorama globale, con conseguenti pressioni sugli asset ad esse correlati, come i titoli di Stato nipponici.

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