Francia, Macron alla prova riforme

Di Viktor Nossek, Direttore della ricerca di WisdomTree in Europa

Le riforme del mercato del lavoro di Macron appaiono difficili da implementare a fronte della storica, dura opposizione da parte delle rappresentanze sindacali. Tuttavia, a differenza del suo predecessore François Hollande che propugnava un’agenda socialista, Macron essendo “indipendente” potrà intrattenere con i sindacati rapporti più conflittuali e costringerli a negoziare. Il mandato palesemente pro-imprese delineato in campagna elettorale dovrebbe rendere politicamente più agevole per Macron ottenere maggiori concessioni rispetto a quanto non sia mai stato consentito ad Hollande.

Incoraggiare l’occupazione e la produttività richiederà maggiore flessibilità in termini di retribuzioni e orario di lavoro. Secondo il piano di riforme, le singole società e imprese potranno stabilire i propri salari senza sottoporli alla contrattazione collettiva del rispettivo settore di attività. Anche la semplificazione della legge sul lavoro fa parte dell’agenda. La strategia di Macron per riformare il mercato del lavoro ha concrete possibilità di riuscita poiché si tratta di un piano estremamente pragmatico: allettando il suo elettorato e gli alleati di centro-sinistra con le normative pro-imprese non toccherà – almeno non per ora – lo stato sociale e i programmi previdenziali.

Il piano di riforma fiscale che prevede uno stimolo finanziario pari ad almeno 50 miliardi di euro in progetti sulle infrastrutture e nuove industrie– nonostante dia prova di equilibrio e strizzi l’occhio all’UE poiché rispetta la regola del disavanzo non superiore al 3% –  difficilmente imprimerà la spinta necessaria alla crescita del PIL. Il più importante elemento propulsore è rappresentato dalla proposta di tagli alle tasse per le imprese (ridotte dal 33% al 25%) che dovrebbero attirare maggiori investimenti aziendali da parte degli investitori nazionali ed esteri.

Il piano fiscale di Macron stabilirà tuttavia il precedente per un dialogo più costruttivo con l’Unione europea in materia di sostegno della crescita attraverso maggiori investimenti. Se i limiti per finanziare la spesa pubblica in disavanzo non riescono a fornire lo stimolo fiscale necessario, potrebbe riuscirci un consistente aumento del piano europeo per gli investimenti – stabilito nel 2015. Il piano appena citato ha raccolto fino ad oggi 21 miliardi di euro in garanzie principalmente dal budget dell’UE per raggiungere potenzialmente un valore di 209 miliardi di euro di finanziamenti dal settore privato da impegnare in progetti sulle infrastrutture di larga scala e per sopperire alle esigenze finanziarie delle piccole e medie imprese di tutta l’Unione.

Per la Francia, così come per tutti i grandi Paesi membri dell’UE, il Fondo strategico per gli investimenti europei (l’EFSI) semplicemente non è abbastanza grande da riuscire a imprimere uno stimolo significativo in territorio nazionale. Tuttavia, un accordo di finanziamento del debito in cui tutti i membri dell’Unione fungano da garanti –come ad esempio tramite un programma di Eurobond,  potrebbe raccogliere molti più fondi per raggiungere l’agognato stimolo fiscale. “Falchi” fiscali come la Germania, i Paesi Bassi, l’Austria e la Finlandia dovranno essere convinti che sia sensato condividere l’onere del debito e che la Francia non stia semplicemente approfittando del vantaggio di pagare tassi d’interesse più bassi che se dovesse emettere titoli del Tesoro propri.

Insieme all’Italia, la Francia non è votata alla disciplina di bilancio come la Germania. Poiché il Regno Unito non fa più parte dell’UE, in cui come Paese membro ha sempre adottato una posizione neutrale rispetto alle opinioni spesso divergenti di Germania e Francia, senza dubbio ora sarà quest’ultima a fare da contrappeso agli interessi tedeschi nell’Unione. Pertanto, Macron, grazie ai considerevoli poteri legislativi e al suo programma di riforme e cambiamento, avrà l’opportunità di raccogliere il sostegno dell’Italia, stanca dell’austerity (e presumibilmente anche della Spagna), per promuovere una crescita trainata dagli investimenti.

Il punto è che i livelli ancora elevati di disoccupazione e sottoccupazione giovanile indicano che l’UE deve agire rapidamente per attuare il piano di una maggiore unione fiscale, pena rischiare di risentire di un duraturo danno politico al progetto europeo la prossima volta che gli olandesi, i francesi e gli italiani andranno alle urne.

Prima delle elezioni italiane l’outlook per gli asset rischiosi europei è ottimistico. Privilegiamo l’azionario dell’Eurozona con bilanci forti e un bias verso i settori IT, consumi e industriali, insieme alle small cap per un possibile posizionamento tattico sull’agenda di riforme pro-UE e pro-crescita della Francia. Se le elezioni italiane alimenteranno la stabilità di governo e non intaccheranno la fiducia degli investitori anche le scommesse sugli stili d’investimento quality-growth e small cap potrebbero essere considerate una valida opzione dal punto di vista strategico. Nell’ambito dei mercati azionari europei, riteniamo che le banche italiane dispongano di un ottimo potenziale per performare ad alti livelli grazie ai costanti sforzi di ristrutturazione, tale da costituire uno dei principali fattori trainanti per ripristinare una performance finanziaria che accompagni un re-rating di molte, se non addirittura della maggior parte, delle valorizzazioni delle banche italiane oggi negoziate a forte sconto.

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