Fed, tassi e mercato: stallo alla messicana

A cura dell’Ufficio Studi di Marzotto Sim
A seguito delle dichiarazioni del Presidente della Fed Janet Yellen durante il Federal Open Market Committee (FOMC) del 26 luglio, il dollaro ha continuato a deprezzarsi fino a raggiungere quota 1.17 (EUR/USD). Il mercato è focalizzato sulle parole del Presidente riguardo l’inflazione core che si è manifestata al di sotto del target (2%), e sembra aver ignorato le indicazioni riguardo la normalizzazione del bilancio della Fed (un’altra forma di restrizione monetaria) che dovrebbe avvenire in autunno. Di conseguenza, considerati i dati dell’inflazione sotto le attese, i mercati mettono in discussione un terzo rialzo dei tassi d’interesse in Dicembre, guidando al ribasso sia i tassi che la valuta americana.
Nonostante i segnali delle banche centrali ed i conseguenti dictat del mercato, per entrambi ci sono 3 domande che restano aperte e alimentano incertezza, ma anche opportunità d’investimento.

  1. Quanto a lungo persisterà la decorrelazione tra il differenziale dei tassi ed il valore delle valute?

Nonostante il differenziale tra tassi in Eur e in USD si sia allargato nelle ultime settimane raggiungendo quota 1.5%, il dollaro si è significativamente deprezzato. Mentre parte di questo movimento è spiegato dall’incapacità dell’amministrazione Trump d’implementare le riforme promesse durante la campagna elettorale, non è chiaro per quanto tempo il dollaro possa reggere la pressione di un differenziale così alto. Difatti, ci si può attendere che gli investitori inizino a preferire i rendimenti dei titoli denominati in dollari rispetto ai rendimenti in euro che si attestano ancora intorno allo zero.

  1. L’obiettivo d’inflazione delle banche centrali è davvero raggiungibile?

L’ormai famoso target d’inflazione del 2% fissato dalle Banche Centrali si basa su modelli economici sviluppati negli anni 2000, prima della crisi finanziaria del 2007-2008. Oggi le dinamiche economiche sembrano essere cambiate, la crescita non sembra riflettersi più come prima in un significativo rialzo dei salari e dell’inflazione (un’inflazione sostenibile). Inoltre, nell’ultima conferenza stampa Draghi si è mostrato fiducioso che le dinamiche economiche tornino alla normalità, pur riconoscendo che sono significativamente cambiate principalmente a seguito di un mercato del lavoro che fatica a ribilanciarsi ed agli effetti deflattivi del “deleveraging” post crisi.

  1. Quali saranno gli effetti della normalizzazione del bilancio delle banche centrali?

Attraverso le politiche monetarie non-convenzionali (e.g. Quantitative Easing) le banche centrali hanno percorso strade mai esplorate prima d’ora, che riservano incertezza riguardo le modalità e gli effetti di un ritorno alla normalità. La Fed, ad esempio, ha accumulato asset per un valore di 4,5 Trilioni di dollari, che dovrà prima o poi ridurre per normalizzare la politica monetaria. Può raggiungere questo obiettivo sia riducendo gli acquisti mensili e lasciando maturare i titoli, che vendendo direttamente questi ultimi. Ad ogni modo, operazioni di tale portata condizioneranno i mercati, specialmente quelli degli asset oggetto dei QE (Treasuries e MBS per la Fed e Governativi ed ABS per la BCE).
Estendendo l’analisi anche al Vecchio Continente, Draghi è in procinto di partire con il tapering ma non sa ne quando ne come, Yellen vorrebbe continuare il processo di normalizzazione della politica monetaria ma è frenata dei dati deludenti sull’inflazione e il mercato è pronto a cogliere ogni segnale per vendere i titoli finora sostenuti dalle banche centrali.
In conclusione la situazione è quella di uno stallo alla messicana degna di un film di Sergio Leone nel quale chi spara per primo ha un vantaggio iniziale ma può potenzialmente innescare un meccanismo con conseguenze devastanti per tutti.

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