La “Dunkerque” delle banche centrali

A cura di Joseph V. Amato, President and Chief Investment Officer—Equities Neuberger Bergman
La fine dell’inizio del QE è alle spalle, ma l’inizio della fine deve ancora venire.
Mercoledì scorso cadeva il quinto anniversario della dichiarazione di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, che si impegnava a fare “tutto quanto sarà necessario” per preservare l’euro.
“Credetemi, sarà abbastanza”, ci ha rassicurato. Queste parole impacciate, che sarebbero state bene in bocca a Churchill, lasciavano presagire l’imminenza di un disastro in Europa.
Questo è uno dei motivi per cui mi sono tornate in mente lo scorso weekend, mentre guardavo il blockbuster dell’estate sull’evacuazione di Dunkerque. Pur non paragonabile alla più grande ritirata della storia militare, quella che Draghi e altri vertici delle principali banche centrali mondiali stanno per avviare è la più grande ritirata della storia finanziaria.
Operazione “ottobre”?
Tra i bilanci di Federal Reserve, BCE, Banca d’Inghilterra e Banca del Giappone, ci sono più di 13.000 miliardi di dollari di liquidità in circolazione, un quantitativo che sembra destinato a essere riassorbito.
La settimana scorsa abbiamo avuto la conferma che la Fed inizierà la manovra di ripiego “in tempi relativamente brevi”. Il consenso è per ottobre. A quanto pare, solo poche settimane ci separano dal “picco del QE” di questo ciclo senza precedenti.
Tutto ciò, unitamente alla dichiarazione del FMI secondo cui “non vi è più ombra di dubbio che l’economia mondiale abbia ripreso slancio”, lascia intendere che quest’estate il vento cambierà nei mercati finanziari.
Quali saranno le ripercussioni per i mercati azionari, in particolare?
Un’impresa immane
È chiaro che gli asset più rischiosi siano stati sostenuti dalla grande liquidità immessa dalle banche centrali. Ecco perché dobbiamo aspettarci che il ritiro di tale liquidità creerà nuove ondate di volatilità. In ultima analisi, si tratta di uno sviluppo positivo, ma considerato il periodo eccezionalmente lungo di bassa volatilità dei mercati a cui abbiamo assistito, val la pena ricordare che si tratterà di un’impresa immane e che sarà impossibile evitare contraccolpi, battute d’arresto e sorprese.
Una parte del problema è rappresentata dal fatto che i mercati sono macchine per la formulazione di previsioni e conseguenti anticipazioni sul livello dei prezzi. Per questo motivo, questa ritirata delle banche centrali era stata prevista già da tempo.
La volatilità è bassa non solo perché l’orientamento delle politiche monetarie della Fed è stato chiaro e stabile, ma anche perché la maggior debolezza del dollaro, il ribasso del petrolio e lo slancio dell’economia mondiale, annunciato dal FMI, hanno sostenuto una sensibile inversione degli utili. Inoltre, i corsi azionari hanno iniziato a muoversi molto più in base ai fondamentali e con molta meno correlazione reciproca.
Sorprese al rialzo o sorprese al ribasso: tutto è possibile
La volatilità dei singoli titoli si è mantenuta su buoni livelli. Di fatto, se gli utili di una società superano le previsioni, se i trial clinici di un nuovo farmaco si concludono con un nulla di fatto o se un colosso dei social media registra una flessione nella crescita degli iscritti, il rispettivo titolo può guadagnare – o perdere – il 5, 10 o 15 per cento in un giorno solo. Si tratta tuttavia di variazioni estremamente idiosincratiche, con un contagio molto limitato al mercato in generale.
Tale assenza di correlazione incrociata, tiene a freno la volatilità a livello di indice. Non, però, se ci sono sorprese esterne, come la decisione della banca centrale di rivedere i tassi o modificare il bilancio in modi imprevisti.
Inoltre, come abbiamo avuto modo di spiegare altrove, tali sorprese possono essere sia al rialzo che al ribasso. La probabile bocciatura della riforma sanitaria proposta dall’amministrazione Trump potrebbe indurre Washington a concentrarsi sulle politiche fiscali. In questo ambito non crediamo che verrà realizzata alcuna iniziativa degna del nome di “riforma”, tuttavia ci aspettiamo una modesta riduzione dell’imposta sulle imprese e un accordo per il rimpatrio dei capitali. Ciò favorirebbe gli utili societari statunitensi, in particolare quelli delle small cap, che sono solitamente soggetti ad aliquote più elevate.
L’inizio della fine
L’evacuazione di Dunkerque rappresentò un importante punto di svolta nella seconda guerra mondiale. Nondimeno, due anni (e qualche importante vittoria) dopo, Winston Churchill invitò comunque alla cautela, dicendo: “Questa non è la fine. Non è neppure l’inizio della fine. Ma forse è la fine dell’inizio”.
L’andamento sottotono dei mercati azionari sembrerebbe indicare che il futuro immediato non ha in serbo grandi cambiamenti. In realtà, la fine dell’inizio del QE è probabilmente alle spalle, ma l’inizio della fine deve ancora venire. Quando i mercati se ne accorgeranno, com’è inevitabile che sia, la calma attuale verrà con ogni probabilità turbata.

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