Jackson Hole: il ragno è ancora nel buco

A cura di Steven Andrew, M&G Investments
Ogni anno, autorità monetarie ed economisti di tutto il mondo si riuniscono a Jackson Hole per discutere degli argomenti del momento. L’attenzione nei confronti di chi decide le politiche è salita ai massimi livelli dalla crisi finanziaria in poi, quindi non sorprende che siano stati Janet Yellen e Mario Draghi i protagonisti indiscussi dell’evento sulla stampa (un riepilogo di tutti i dibattiti è disponibile in fondo a questo post).
L’intervento chiave di Yellen a Jackson Hole sarà probabilmente sezionato e analizzato minuziosamente alla ricerca di qualsiasi indizio riguardo ai tempi e all’entità dell’imminente contrazione del bilancio della Federal Reserve. Persino il fatto che sia lei che Draghi hanno detto molto poco si può considerare importante.
Magari fosse davvero interessante o significativo per i prezzi degli asset.
Come abbiamo detto in precedenza, è giusto tenere conto delle politiche, nella misura in cui incidono sulle possibili caratteristiche di rischio degli asset e sull’andamento della crescita o si riflettono sui regimi economici. Sarebbe quindi molto più istruttivo esaminare il linguaggio utilizzato durante l’evento, alla ricerca di qualsiasi indicazione della crescente curiosità, da parte dei banchieri centrali, sul motivo per cui il sentire comune su cui si basa tutto il loro impianto potrebbe non avere fondamento.
Il dilemma delle politiche
La sfida sempre più dura per le autorità monetarie che guardano al lungo periodo (ma siamo sicuri che lo facciano proprio tutte?) è come giustificare il rialzo dei tassi d’interesse se l’inflazione si rifiuta di stare al gioco e muoversi verso l’alto, sebbene la disoccupazione sia già molto bassa.
A tale riguardo, il verbale della riunione del FOMC di luglio fornisce materiale interessante, rivelando che diversi esponenti del Comitato hanno sottolineato l’assenza di qualsiasi prova convincente dell’efficacia delle previsioni sull’inflazione del FOMC stesso, basate sui parametri tradizionali (il che si collega al lavoro recente della Fed sull’evidente debolezza della curva di Phillips):

Per il momento, la maggioranza dei membri del FOMC continua bellamente a fingere di non vedere (che non c’è niente da vedere), andando avanti come se la dinamica crescita-inflazione fosse la stessa di sempre, ma questa situazione non potrà durare. Affinché i tassi d’interesse prendano un po’ di quota prima che la banca centrale si trovi costretta a virare di nuovo verso il basso, serve un fondamento logico di più ampio respiro, che trascenda la dinamica disoccupazione-inflazione.
Con l’economia che resta stabilmente in modalità di espansione, la resistenza di fondo ai tassi d’interesse più alti probabilmente supera le aspettative. Il problema principale è giustificare una “politica più rigida” definendola coerente con gli obiettivi a lungo termine della Fed, senza alimentare i timori di una (inesistente) dinamica inflazionistica sui mercati. Questo potrebbe voler dire “guardare avanti” alla prossima svolta al ribasso in cerca di una base logica, con un’opera di comunicazione che potrebbe iniziare oggi, ma anche no.

Jackson Hole 2017 – Riepilogo dell’evento
Spesso Jackson Hole è utile soprattutto come guida ai temi che stanno focalizzando l’attenzione del consenso in un dato momento. Lo si può vedere nel breve riassunto degli argomenti affrontati alla riunione di quest’anno, con la disuguaglianza e la globalizzazione in grande evidenza, accanto ai problemi di produttività e agli squilibri dei conti correnti. Inoltre, i lavori svolti sugli effetti dello stimolo fiscale rivelano la consapevolezza delle criticità evidenziate sopra.
“Stabilità finanziaria dieci anni dopo l’inizio della crisi” – Janet Yellen –

  • C’è stata una crisi
  • Abbiamo adottato misure per evitare che si ripeta
  • Sembra che funzionino, ma probabilmente ci sarà un’altra crisi di tipo diverso

 
“La legenda della riallocazione” – Chang-Tai Hsieh, Pete Klenow, Gita Gopinath

  • Non è chiaro se la crescita statunitense sia spinta dallo spostamento delle risorse dalle aziende meno produttive a quelle più produttive.
  • Il contributo più rilevante alla crescita sembra derivare dall’innovazione delle società già affermate, più che delle ultime arrivate o dei concorrenti
  • Con la dovuta attenzione agli effetti della concorrenza e degli spillover di conoscenza

 
“Disuguaglianza di reddito e aspetti distribuzionali del commercio internazionale” – Nina Pavcnik, David Dorn

  • Il libero commercio fra Paesi ha creato vincenti e perdenti
  • Questo ha tendenzialmente contribuito alla disuguaglianza all’interno dei Paesi, ma non ne è la causa principale
  • L’impatto disomogeneo del commercio dipende dagli attriti nella mobilità dei lavoratori e del capitale
  • Il commercio nel complesso porta benefici, ma richiede probabilmente nuovi approcci a sostegno di chi ne risente negativamente

 
“Il panorama in evoluzione del commercio internazionale” – Ann E. Harrison, Catherin L.Mann, Peter K. Schott, John Van Reenen

  • La crescita degli scambi sembra essersi attenuata
  • Ma aumenta la concorrenza fra beni più complessi
  • La tecnologia e le preferenze di consumo generano perdite di posti di lavoro nel settore manifatturiero
  • Conseguenze sociali rilevanti dovute alla concentrazione regionale dell’attività manifatturiera, spesso svolta soprattutto da lavoratori con competenze di livello medio

 
“Sostenere l’apertura in un’economia globale dinamica” – Mario Draghi

  • L’economia mondiale adesso procede a passo fermo, pertanto è giusto concentrarsi su misure volte a incrementare potenziale di crescita e produttività
  • L’apertura sembra essenziale per questo e bisogna sostenere la linea pro-globalizzazione
  • In quest’ottica è necessario affrontare le preoccupazioni attuali sui temi di giustizia, sicurezza ed equità
  • Per raggiungere questo obiettivo è importante una cooperazione centralizzata (a livello normativo ecc.)

 
“Stimolo fiscale e sostenibilità fiscale” – Alan J. Auerbach, Yuriy Gorodnichenko, Jason Furman

  • I tassi d’interesse bassi limitano il raggio di manovra nella prossima recessione
  • La risposta sembra essere la politica fiscale, ma bisogna valutare il possibile impatto negativo su Paesi già fortemente indebitati
  • I dati (dagli anni Ottanta in poi) relativi ai Paesi sviluppati indicano che gli shock a livello di spesa pubblica non determinano incrementi persistenti del rapporto debito/PIL né dei costi di prestito
  • L’impatto degli shock sulla spesa dipende dalla posizione in cui si trova il Paese nel ciclo economico: nelle recessioni gravi, la politica fiscale potrebbe ridurre il rapporto debito/PIL

 
“Gli squilibri globali passati e futuri? Interpretare il record del dopo-crisi” – Menzie Chinn, Maurice Obstfeld

  • Ancora una volta sono emerse ampie disparità dei conti correnti fra le economie globali
  • La teoria e l’evidenza empirica non sono riuscite a spiegare efficacemente questi movimenti
  • Il ruolo della politica fiscale potrebbe rivelarsi più importante di quanto suggerito in precedenza

 
“Dibattito generale” – Norman Chan, Timothy J. Kehoe, Carmen M. Reinhart

  • La liberalizzazione multilaterale del commercio è apparsa stagnante. Il populismo ha messo in pericolo la liberalizzazione
  • Le disparità di reddito e ricchezza richiedono studi più approfonditi, anche per quanto riguarda l’impatto della tecnologia in termini di spostamento della forza lavoro
  • I governi sono riusciti a ridistribuire il reddito meglio della ricchezza. Potrebbe essere necessario impegnarsi per distribuire il reddito a monte e fornire nuove competenze ai lavoratori costretti a spostarsi.

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