Crif Ratings, scricchiola il sistema Confidi

A cura di Crif Ratings

Un anno dopo il fallimento di Eurofidi, il più grande consorzio italiano di garanzia, CRIF Ratings commenta un nuovo caso di default nel sistema Confidi segnalandone i tratti comuni. Anche questa volta si tratta di un Confidi piemontese, Unionfidi Piemonte che con i suoi 335 milioni di euro di garanzie rilasciate rappresentava uno dei principali player regionali. “Come per Eurofidi, la scarsa redditività, l’inefficacia dei sistemi interni di monitoraggio del credito oltre che la revoca della controgaranzia pubblica sono le motivazioni principali sottostanti alla crisi’, afferma Carmen Acerra, Rating Specialist di CRIF Ratings”.

La struttura economico-patrimoniale di Unionfidi evidenziava già da diversi anni forti criticità, legate alla scarsa redditività e al deterioramento del portafoglio garanzie, appesantite da elementi esogeni quali il ridimensionamento del mercato della garanzia, la concorrenza diretta del Fondo Centrale di Garanzia (di seguito “FCG”) e la minore contribuzione pubblica.

Dalla visita ispettiva condotta da Banca d’Italia nei primi mesi del 2017, è scaturita l’iscrizione in bilancio di significative rettifiche di valore sulle garanzie rilasciate in considerazione di una situazione di “notevole sofferenza ascrivibile a perdite su crediti inesigibili”. Unionfidi si è trovato costretto a maggiori accantonamenti a fondo rischi per EUR13m, di cui circa EUR2m determinati dall’inefficacia della controgaranzia rilasciata da MedioCredito Centrale (‘MCC’), gestore del FCG L’impatto è stato insostenibile: perdita di esercizio di EUR15m, drastica contrazione del patrimonio di vigilanza a garanzia degli impegni assunti e deterioramento del TIER1 allo 0,5% di fronte alla soglia minima del 4,5% prevista dalla normativa. Inevitabile è stata la messa in liquidazione dopo che il regolatore aveva sospeso l’autorizzazione al rilascio di nuove garanzie il 24 luglio scorso. L’erosione del patrimonio ha poi contribuito ad indebolire il profilo finanziario e l’asset quality: nel 2016 la dotazione di risorse (fondi e patrimonio) risultava inadeguata rispetto alla perdita attesa e inattesa sul portafoglio garanzie stimata da CRIF Ratings intorno ai EUR100m, determinando un deficit patrimoniale stimato in EUR19m.

Anche sotto il profilo della liquidità, Unionfidi evidenziava problematiche connesse alla capacità di copertura di posizioni in deteriorato. A fine 2016, Crif Ratings stimava attività finanziarie disponibili pari a poco più di EUR35m su un totale di garanzie rilasciate di EUR335m di cui EUR176m in deteriorato. Il graduale decadimento del portafoglio garanzie veniva confermato da un grado di deterioramento in progressivo peggioramento nell’ultimo triennio, attestatosi al 57% nel 2016 dopo il 55% del 2015 e il 51% del 2014.

Dal punto di vista reddituale, la perdita d’esercizio del 2016 è ascrivibile oltre che alle maggiori rettifiche suggerite da Banca d’Italia, anche alla svalutazione della partecipazione di minoranza in Veneto Banca per EUR1,7m (a seguito delle vicende che hanno interessato il gruppo bancario nel corso del 2016) e alla pesante struttura dei costi operativi che risultavano superiori al margine di intermediazione sia nel 2015 che nel 2016

Unionfidi Piemonte, anche nel 2014 era stato oggetto di un’ispezione da parte di Banca d’Italia a seguito della quale aveva iscritto in bilancio rettifiche di valore per EUR22m evidenziando, già da allora, inefficienze nel sistema di monitoraggio del credito. Due anni dopo poco è cambiato nella gestione dell’attività core del Confidi e appare quasi naturale la mancata disponibilità dei soci alla ricapitalizzazione e la conseguente messa in liquidazione.

Al netto dell’incidenza del portafoglio deteriorato molto alta e delle inefficienze dei sistemi di monitoraggio interni che determinavano accantonamenti non adeguati al rischio, il default di Unionfidi Piemonte presenta altri tratti in comune con il caso Eurofidi, una circostanza che suggerisce un’attenzione costante su un possibile effetto contagio.

Da una parte, il problema della scarsa redditività. La ricerca di dimensioni operative maggiori sotto la spinta della nuova normativa è uno stimolo all’efficienza che tuttavia, se non adeguatamente gestito e finanziariamente supportato, può accelerare l’emergere di crisi irreversibili. La multi-settorialità e l’allargamento dell’operatività oltre i confini regionali necessitano di strutture operative adeguate e un altrettanto adeguato presidio del territorio di riferimento e del rischio assunto. Questo, tuttavia, implica investimenti che, con ricavi e aiuti pubblici sempre minori, diventano a volte insostenibili. “La scarsa redditività è un tema diffuso tra i Confidi; è evidente che senza un miglioramento sul fronte dell’efficienza e un più accurato monitoraggio del rischio, il sistema di garanzia non uscirà fuori dalla crisi sistemica in cui versa”, continua Carmen Acerra.

Dall’altra parte, l’inefficacia della controgaranzia pubblica che espone i Confidi al rischio di maggiori perdite. In linea teorica i controlli ex-ante realizzati da MedioCredito Centrale dovrebbero favorire la presentazione di pratiche conformi ai requisiti di ammissibilità alla controgaranzia del FCG. Tuttavia le verifiche ex-ante coinvolgono una quota marginale (circa il 5%) del totale delle pratiche presentate e accolte, mentre la gran parte dei vizi di sostanza e di forma emerge solo ex-post a seguito delle escussioni, una circostanza che provoca la revoca della controgaranzia inizialmente rilasciata e conseguentemente gravosi accantonamenti a fondi rischi e assorbimenti di capitale. “Accanto al tradizionale rischio di credito, le ultime vicende hanno evidenziato un rischio operativo legato alla revoca della controgaranzia statale. Se questo diventerà una prassi, l’efficacia dell’azione di intermediazione svolta dai Confidi sarà sempre più in dubbio, contribuendo ad incrementare il ricorso diretto al FCG da parte degli istituti di credito con ulteriore impatto negativo sul mercato della garanzia”, conclude Acerra.

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