Mercati anestetizzati ed immuni dai rischi geopolitici. Anomalia o nuova prassi?

a cura di Assiom Forex
Di fronte ai maggiori eventi politici che si sono succeduti negli ultimi mesi in Europa, i mercati hanno mediamente reagito con perdite contenute nell’ordine del 2-3% il primo giorno per poi recuperare sempre nelle sedute successive. Le più recenti trentotto crisi geopolitiche (all’epoca dei fatti di piazza Tienanmen, la Borsa è scesa del 22% la prima seduta e ha poi ripreso il valore iniziale dopo sei mesi, mentre l’invasione dell’Iraq è stata recuperata in una settimana) che hanno interessato i mercati a livello globale hanno infatti registrato perdite solo nelle prime tre sedute successive all’evento, tutte poi recuperate abbastanza velocemente. L’impermeabilità dei mercati finanziari a questi eventi dunque non è un elemento di novità. Ciò che rappresenta il vero segnale di rottura rispetto a quanto accaduto in passato è che a rappresentare un nuovo focolaio di instabilità non sono più i Paesi più lontani come il Venezuela, la Cina o la Russia ma l’Europa stessa.
Aprendo il panel, Luigi Belluti, Presidente di Assiom Forex ha sottolineato come “i  mercati sembrano anestetizzati dall’eccesso di liquidità (1,8 trillioni di euro di eccesso)e probabilmente tutti i players stanno ancora parcheggiando questa liquidità in titoli di Stato europei. Nonostante gli shock esogeni registrati, c’è una sorta di resilienza prolungata a qualsiasi notizia, anche positiva. In questo momento il mercato non sta inglobando il rischio politico, compreso quello che corre l’Italia in vista delle prossime elezioni, incluso quello di un governo forzatamente di coalizione che dovrà implementare le riforme strutturali, come ricordato da Moody’s la scorsa settimana”.
Brexit, voto catalano, veloce perdita di popolarità per i leader neo-eletti. Sono svariate le forme in cui il populismo si manifesta nel Vecchio Continente.
Per Paolo Magri, vicepresidente esecutivo ISPIv“Usciamo da fattori che hanno sfibrato l’opinione pubblica, che ormai abbandona le famiglie dei conservatori e dei progressisti che in ogni Paese governavano stabili. Rispetto a quel mondo il populismo di oggi in realtà è un movimento anti-sistema, la gente non è più contenta delle risposte che la politica ha saputo dare”.  In una logica anti-establishment, la finanza e i mercati vengono percepiti come parte del mondo contro il quale ci si muove. “Quando i mercati parlano dei costi della Brexit”, aggiunge Magri “gli elettori inglesi non ascoltano queste indicazioni. Non le seguono perché si muovono in direzioni diverse e vedono quelle voci come voci del sistema.”
Quali potrebbero essere i temi sottovalutati nel prossimo futuro? Quali le crisi che si stanno muovendo sotto traccia? “Sono più spaventato da un cigno nero in ambito tecnologico” chiosa Magri “ovvero qualcosa di davvero disruptive come un cyber attacco come impatto sui mercati, che non per le crisi politiche attualmente aperte”.
Quando c’è veramente, l’instabilità politica ha dei costi. Il primo effetto è il rinvio degli investimenti aziendali. Secondo uno studio effettuato attraverso un lavoro statistico molto accurato con un campione di 48 Paesi presi in esame in un periodo di venticinque anni (1980-2005), nell’anno delle elezioni le imprese riducono del 5% gli investimenti e la riduzione è più pronunciata quando l’esito delle elezioni è meno prevedibile.
Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, in ulteriore rialzo rispetto a tre mesi fa, rappresentano un secondo elemento di novità.
“Una crescita superiore al 3,5%” ha dichiarato Francesco Daveri, professore di Economia Politica e Director MBA della SDA Bocconi, “è più elevata della media della crescita mondiale registrata negli ultimi quarant’ anni (+3,4%). Di fatto si prevede maggiore crescita del commercio internazionale al netto di Cina e India e grazie alla revisione al rialzo di Paesi come Brasile, Russia e Usa. Inoltre, se i prezzi del petrolio crescono di meno, per l’Europa questa è una buona notizia”.
Secondo la presentazione del professor Daveri, il dato che spiega le ragioni per cui i tassi rimarranno bassi è l’inflazione. I beni dei prodotti industriali non energetici registrano solo mezzo punto percentuale di aumento di inflazione soprattutto nel settore manifatturiero dove l’effetto Cina continua a essere trainante. Oltre a ciò, l’inflazione Ue rimane molto variabile tra i vari Paesi e quindi  se la Bce dovesse ridurre adesso le iniezioni monetarie, il rischio è che alcune economie sprofondino nella deflazione (Irlanda, Cipro, Finlandia, Francia).
Non tutti i Paesi avevano lo stesso bisogno di QE. Che da un lato ha fatto scendere il costo del credito e dall’altro ha deprezzato l’euro agevolando le esportazioni europee (anche quelle tedesche). “Io in realtà“ aggiunge Daveri “sono preoccupato del fatto che ci possa essere un errato timing nel porre fine a questi interventi. Non c’è inflazione dopo tutto per cui stando al mandato della Bce non ci sarebbe ragione di cambiare la policy”.
Per Paolo Marullo Reedtz, responsabile Mercati e Sistemi di pagamento di Banca d’Italia, “Il rischio politico è solo una parte di un regime di incertezza complessiva. Esistono anche una serie di altre fonti di incertezza per decisioni di politica economica che si andranno a prendere, ad esempio la politica fiscale di Trump, le modifiche di istanze di politica monetaria, la probabilità di un rialzo tassi in Usa, le prospettive delle politiche Bce  ma anche le stesse attività di regolamentazione. Gli strumenti adottati dalla politica monetaria sono stati tre: tassi ufficiali, operazioni di acquisto e comunicazione. La Bce intende stabilizzare le aspettative degli operatori intorno alla curva dei rendimenti (devono essere convinti che non solo nell’immediato la politica sarà abbastanza piatta ma convinti che questa impostazione permarrà).  In Banca d’Italia c’è stato uno studio sull’ Introductory statement della BCE  come leva per ottenere l’abbassamento dei tassi a breve termine. E’ ormai divenuto uno strumento in sé da tenere in considerazione.”

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