I prossimi cinque anni in Cina

Di Gerwin Bell, Lead Economist Asia, Global Macroeconomic Research di Pramerica Financial

Con il diciannovesimo congresso del partito comunista in programma per il 18 ottobre, gli investitori stanno rivolgendo la loro attenzione alle prospettive della Cina per i prossimi cinque anni. L’evento servirà da apertura ufficiale del secondo mandato quinquennale di Xi Jinping nel ruolo di Segretario Generale e  probabilmente porterà a una serie di cambiamenti a livello di leadership e policy che caratterizzeranno i sei mesi che ci separano dal Congresso nazionale del popolo che dovrebbe cominciare a marzo 2018.

Prima di guardare agli aspetti futuri, è utile avere una migliore comprensione degli sviluppie in particolare delle riforme che sono stati messi in atto nel corso dei primi cinque anni del mandato del presidente Xi. Nonostante alcune critiche, emerge che sono state attivate riforme politiche di grande portata, in particolare nella governance del partito comunista e dell’esercito. Dal punto di vista economico, le aspettative create dall’assemblea del 2013 erano probabilmente molto alte. Il processo delle riforme effettivamente non ha avuto un corretto ordine logico; la liberalizzazione finanziaria, e in particolare l’apertura ai capitali stranieri, è stata iniziata prima di aver risolto situazioni problematiche all’interno del settore delle aziende di stato (eccesso di produzione ed incentivi che hanno effetti negativi sul mercato).

Questo approccio ha mostrato alcuni  punti deboli – come evidenziato dallo sviluppo del sistema bancario ombra, dalla volatilità del mercato azionario e dalle enormi uscite di capitali nel 2015-16 – a cui sono seguite manovre correttive e controlli più stringenti. Si è così arrivati alla situazione attuale, in cui importanti riserve di capitale sono state erose e la crescita del debito non si è fermata, come testimonia il recente downgrade del rating del credito da parte di S&P. Questa esperienza potrebbe portare a un imminente cambio di priorità per quanto riguarda le politiche.

Ci aspettiamo che il prossimo mandato quinquennale faccia tesoro della lezione riguardo al corretto ordine delle riforme e che quindi la liberalizzazione finanziaria, e in particolare le aperture dei movimenti di capitale, avvengano a un ritmo più controllato. Considerato anche l’incremento recente del debito delle famiglie, ci aspettiamo che la politica continui a ridurre la dipendenza della crescita economica da quella del debito. La riforma delle società controllate dallo Stato difficilmente seguirà il tradizionale processo incentrato sulle cessioni tipico delle nazioni occidentali, ma piuttosto uno orientato a una politica industriale dirigista e alla creazione di “campioni nazionali”. Questo sistema contribuirà sicuramente sia al consolidamento che al coordinamento delle società controllate dallo Stato, ma difficilmente correggerà la situazione distorta di allocazione delle risorse che va a danneggiare il settore privato e quindi è improbabile che migliori l’efficienza dell’economia come insieme.

Questa combinazione di interventi – manovre macroeconomiche più ortodosse che mirano alla stabilità e una politica industriale che punta a rafforzare le partecipate – non è portatrice di maggiore crescita e probabilmente la crescita potenziale continuerà il suo trend calante. È da capire se l’autorità accetterà lo stato dei fatti, inteso come un obiettivo di crescita più basso. Anche se molti investitori indicano la necessità aritmetica di una crescita del 6,5% per raggiungere il target quinquennale di raddoppiare il PIL del 2010 entro il 2020 – necessario per costruire una “società moderatamente prospera” –  non condividiamo tale preoccupazione.

Diversi mercati emergenti hanno dovuto aggiornare i sistemi di misurazioni del PIL con lo svilupparsi dell’economia, cosa che tipicamente ha portato a aumento significativo dei livelli di PIL nella fase successiva alla revisione. Molto probabilmente la Cina sarà in grado di replicare questo pattern se rivedrà l’attuale sistema nazionale di misurazione, rendendo di fatto possibile il raggiungimento degli obiettivi prefissati per il 2020 anche in assenza della crescita media target del 6,5%. Viceversa, se dovesse mantenere obiettivi troppo alti, soprattutto se accompagnati da un’ulteriore liberalizzazione finanziaria e da nuove aperture dei movimenti di capitale, la stabilità economico-finanziaria sarebbe di nuovo a rischio.

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