La Cina traccia il proprio futuro

Di Joseph V. Amato, President and Chief Investment Officer – Equities di Neuberger Berman

Gli eventi politici che si susseguono in quel di Washington sembrano a volte rubare la scena a tutto il resto. Si fatica a distogliere lo sguardo da Twitter per conoscere l’ultima di Trump sull’assicurazione sanitaria o sull’industria farmaceuticae le relative conseguenze sui mercati. Siamo tutti ansiosi di sapere se, per la gioia delle società statunitensi, la riforma fiscale supererà l’esame del Congresso. Siamo sempre in allerta per cogliere le ultime dichiarazioni della Fed sul rompicapo dell’inflazione e per capire che piega stia prendendo la corsa alla presidenza della banca centrale. Magari ci avanza anche del tempo per occuparci frettolosamente dello stallo dei negoziati sul NAFTA.

Ma nel frattempo, oltre 2.000 delegati stanno partecipando alla più vasta riunione di legislatori del pianeta, un’assemblea che determinerà l’esecutivo e definirà gli obiettivi politici generali della seconda economia mondiale.

Una “nuova era” per la Cina

Il Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese è, sostanzialmente, un grosso rimpasto di governo. I veri e propri dettagli economici e amministrativi vengono solitamente elaborati nei mesi che seguono, al Central Economic Working Conference e al National People’s Congress. Questo XIX congresso, tuttavia, si prospetta più importante del solito. Quando il presidente Xi Jinping ha dichiarato, nel discorso di apertura, che la Cina sta entrando in una “nuova era”, la sua dichiarazione è stata più che una roboante uscita politica.

Il Politburo Standing Committee sembra pronto a grandi cambiamenti, considerata l’età dei personaggi oggi in carica, e anche la purga anticorruzione di Xi potrebbe cambiare i connotati del Central Committee. Gli osservatori della Cina seguono con particolare attenzione il premier, Li Keqiang, e il capo della campagna anticorruzione, Wang Qishan, e sono pronti a cogliere qualunque segnale in base al quale Xi stesso potrebbe cercare di occupare la carica di presidente oltre la scadenza del 2022. Novità in merito dovrebbero essere rilasciate oggi.

Quel che è chiaro è che Xi ha dedicato cinque anni a consolidare la propria autorità e ad associare il suo mandato a importanti iniziative economiche e finanziarie. Tra queste ricordiamo i sistemi “Connect” tra le borse di Shanghai e Hong Kong, la liberalizzazione del mercato obbligazionario nazionale, la revisione della normativa finanziaria e la gestione della fase di transizione e riduzione del debito nell’economia, per finire con l’ambiziosa strategia commerciale e di sviluppo “One Belt, One Road”.

MSCI si prepara a includere, l’anno prossimo, oltre 200 A-share di large cap cinesi nel proprio Emerging Markets Index. È legittimo, per gli investitori, aspettarsi ulteriori passi avanti in direzione della liberalizzazione e delle riforme, alla conclusione del Congresso?

Più regolamentazione o più liberalizzazione?

Nel suo discorso di apertura, Xi si è impegnato ad “aprire sempre più” la porta della liberalizzazione finanziaria e a migliorare “la qualità e l’efficienza” della crescita cinese. La parole del presidente hanno fatto eco a quelle del governatore della Banca Popolare Cinese, Zhou Xiaochuan, che una settimana prima aveva annunciato “iniziative di più ampio respiro per rendere il mercato più accessibile agli istituti finanziari”.

In realtà, però, abbiamo di recente assistito a un aumento degli interventi da parte degli organi di vigilanza. Ci aspettiamo che la rimozione del rischio sistematico e la stabilizzazione dei mercati finanziari saranno le priorità della nuova agenda. Tuttavia, esse implicano un irrigidimento della regolamentazione, non un aumento dell’innovazione e della liberalizzazione. È prevedibile che per agevolare tutto ciò, la missione, la struttura e il personale del nuovo super-organo di vigilanza – il Comitato per la stabilità finanziaria (Financial Stability Committee) – verranno articolati in modo più chiaro.

Come indicato dal declassamento del credito cinese da parte di Moody’s, avvenuto a maggio, la Cina deve ancora affrontare il proprio boom del credito nel suo complesso. I tassi di interesse sono saliti, ma restano comunque bassi. Finora, la riduzione del debito è avvenuta solo nel sistema bancario e in alcune altre istituzioni finanziarie. Ci aspettiamo che si intensificherà e si espanderà, in particolare attraverso la riforma delle imprese a controllo statale (SOE), dove si punterà al consolidamento e all’efficienza del capitale, abbandonando l’obiettivo della “crescita a tutti i costi”.

Ciò determinerà con ogni probabilità un rallentamento della crescita, poiché gli investimenti collegati alle SOE diminuiranno. È probabile che il governo incoraggerà attivamente i consumi per compensare almeno in parte il fenomeno, ad esempio agevolando i finanziamenti al consumo oppure riducendo le tasse.

L’ultima tappa di un viaggio

Mentre le autorità cercheranno di equilibrare le due spinte opposte della riduzione del debito e della stabilizzazione finanziaria, è probabile che la volatilità aumenti. Come ha dichiarato Xi mercoledì scorso, le prospettive della Cina sono luminose, ma le sfide che deve affrontare – il rapido invecchiamento, la bassa crescita della produttività, le disuguaglianze di reddito, i bassi consumi e l’inadeguatezza della rete previdenziale – sono molto serie.

Nondimeno, la capacità della Cina di guardare oltre quella volatilità è unica nel suo genere. Mentre gli Stati Uniti arrancano tra le divisioni di Washington e l’Europa si trova ad affrontare la Brexit a ovest, passi indietro politici a est, coalizioni litigiose in Germania, Paesi Bassi, Austria e Italia e una crisi costituzionale in Spagna, Xi usa un proverbio per esprimere la visione per il 2050: “L’ultima tappa di un viaggio è solo il giro di boa”.

Il raggio d’azione e l’impatto potenziale di quella visione sono il motivo per cui gli investitori dovrebbero distogliere il proprio sguardo da Twitter e volgerlo a Pechino.

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