Pir: attenzione a farsi prendere dall’entusiasmo

I Piani individuali di risparmio sono uno strumento a disposizione di ogni cittadino che intenda investire, con un orizzonte temporale minimo di cinque anni (che costituiscono un vincolo imprescindibile) in strumenti finanziari che abbiano come sottostante prevalentemente aziende italiane. In altre parole, i piani proposti (spesso dalle banche ai propri correntisti) investono almeno per il 70% in strumenti finanziari di vario genere (azioni, obbligazioni, prodotti bilanciati) emessi da aziende italiane. Di queste aziende, il 21% deve necessariamente essere una piccola impresa, non quotata sugli indici principali. L’importo massimo investibile è di 150 milaeuro, con un importo annuo di 30mila euro al massimo. L’innegabile vantaggio è che i Pir, a differenza di altri piani di accumulo a medio o lungo termine, godono dell’esenzione fiscale sia dall’imposta del 26% sul capital gain per le azioni e del 1,.5% sui titoli di Stato, sia dall’imposta di successione, solitamente compresa tra il 4 e l’8%.

Dove sta l’inghippo? Nel fatto di dover fare molta e poi molta attenzione almeno a due fattori. Il primo: a chi vanno davvero i soldi investiti? La quota di investimento destinata alle aziende è del 70% quindi significa che il restante 30% va comunque a finanziare altro. Inoltre, anche all’interno di tale quota, quella che verrà convogliata verso le Pmi italiane è solo del 21%; la stragrande maggioranza potrà invece essere destinata a strumenti provenienti da grandi aziende. Leggi, con tutta probabilità, la stessa banca che propone l’investimento e i suoi strumenti finanziari (non necessariamente scambiati sul mercato regolamentato).

Il secondo fattore a cui occorre prestare attenzione è il rating degli strumenti finanziari proposti. Nel prospetto informativo del Pir proposto da almeno uno dei grandi gruppi bancari italiani si legge infatti che tale valutazione è ben lontana dall’essere “tripla A”, anzi. Per assicurare adeguato rendimento, in portafoglio ci si potrebbe infatti trovare strumenti dal rating ben al di sotto dell’investment grade. Il che, per un piano di investimento vincolato per cinque anni, che dovrebbe educare il risparmiatore italiano a ben investire il proprio denaro e possibilmente a integrare le proprie rendite pensionistiche, suona quantomeno stonato.

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