Chi ha paura delle attuali valutazioni dei titoli azionari?

Di Laurence Boone, Research & Investment Strategy di Axa IM

Le valutazioni elevate delle azioni in questo momento riflettono i fondamentali societari robusti e i tassi di interesse molto bassi:

  • Mentre la Banca Centrale Europea è in procinto di rallentare il ritmo degli acquisti di titoli, le banche centrali mondiali probabilmente riusciranno a ritirare le politiche monetarie accomodanti provocando un impatto limitato sul mercato.
  • I mercati azionari negli Stati Uniti hanno toccato nuovi livelli massimi, sollevando qualche interrogativo. A nostro giudizio, le valutazioni elevate in questo momento riflettono sia i fondamentali societari robusti che i tassi di interesse molto bassi, due fattori che difficilmente cambieranno nel corso del prossimo anno.
  • Conserviamo un approccio positivo nei confronti degli strumenti sensibili alla crescita e incrementiamo le posizioni al rialzo sul dollaro americano.

Le banche centrali vanno in vacanza? Non ancora

La crisi finanziaria globale ha messo in difficoltà la stragrande maggioranza dei policymaker, ma non tanto quanto le banche centrali. In base ai dati storici, e nel timore di una depressione economica come quella degli anni ‘30, le banche centrali hanno reagito con vigore e con una creatività senza precedenti. Tali interventi hanno generato un vivace ottimismo che ha trainato i mercati azionari.

Oggi è opinione condivisa che il Quantitative Easing e le sue diverse ramificazioni abbiano favorito i mercati azionari portandoli su livelli mai raggiunti su scala globale, facendo invece scendere i tassi di interesse. D’altra parte, i mercati oggi temono gli effetti della stretta monetaria, con la progressiva chiusura di questa politica estremamente accomodante.

Nell’Investment Strategy di questo mese, pubblicato proprio nel momento in cui compaiono i primi segnali che la Banca Centrale Europea (BCE) inizierà a invertire la rotta, allontanandosi da una politica monetaria estremamente accomodante, mentre la Federal Reserve ha iniziato a ridimensionare il suo stato patrimoniale e la Banca d’Inghilterra sembra pronta ad alzare i tassi, ci concentriamo sui mercati azionari con l’obiettivo di esaminare il livello delle valutazioni.

Dopo il Forum della BCE di giugno, tenutosi a Sintra in Portogallo, i funzionari delle banche centrali hanno preparato i mercati a un cambiamento, seppur graduale, del loro orientamento di politica monetaria: la velocità degli acquisti sta rallentando su scala globale. La Federal Reserve prevedibilmente alzerà i tassi di interesse a dicembre e ha fornito molti dettagli sul piano di ridimensionamento del bilancio, lasciando poche incertezze sui suoi prossimi interventi, se non sul loro impatto. La banca centrale americana inizia la stretta quantitativa con il rimborso di 10 miliardi di Treasury e titoli MBS che usciranno quindi dal suo bilancio nel corso del 4° trimestre del 2017.

Il ridimensionamento avverrà effettivamente nel 2018. Anche la Banca del Giappone sta rallentando gli acquisti. Fattore ancora più importante in questa fase, l’accelerazione economica nell’Eurozona (oltre le attese), unitamente alla stabilizzazione dell’euro e alle dichiarazioni mirate da parte della BCE, ha spinto i mercati ad attendere l’annuncio di una nuova riduzione degli acquisti mensili di titoli da parte della banca centrale in occasione dell’incontro di ottobre.

Sono state valutate diverse opzioni, ma il mercato e i mezzi di informazione si aspettano acquisti per 30 miliardi di euro per altri nove mesi, da gennaio a settembre 2018. Restano comunque aperte diverse possibilità che fanno sentire ai mercati la mano invisibile della BCE, pronta a intervenire in caso di eventi non desiderati (indipendentemente dalla fonte). Più precisamente, noi ci aspettiamo che la correzione tecnica da parte della BCE mantenga la natura flessibile del piano di QE attuale (“e oltre, se necessario”), il suo orientamento accomodante (“Il Consiglio direttivo è pronto ad ampliare il piano per dimensioni e/o durata”) e la sequenza con tassi di interesse stabili “ben oltre l’orizzonte” del piano di acquisto di titoli, ovvero fino al 2019.

Per sottolineare la credibilità della banca centrale e la sua volontà di mantenere la flessibilità del QE, la BCE probabilmente arginerà le discussioni sulla scarsità di obbligazioni fornendo maggiori informazioni sulla composizione del suo stato patrimoniale, forse una certa granularità sulle scadenze e sulla composizione del portafoglio di titoli di Stato, nell’ottica di fornire sufficienti indicazioni affinché i mercati minimizzino la questione e si concentrino sulla possibilità degli effetti della duration (anche se a nostro giudizio, mantenere una certa inclinazione nella curva dei rendimenti è fondamentale per sostenere i business model bancari).

Nel complesso, il flusso del QE ridotto da gennaio in poi continuerà ad aumentare il debito pubblico nelle mani della BCE (anche in percentuale del debito in circolazione) e a incrementare l’offerta netta negativa di Bund nel 2018. Pertanto ci aspettiamo un impatto contenuto sui rendimenti dei Bund (i rendimenti decennali saliranno allo 0,6% entro fine anno), mentre gli spread periferici dovrebbero ampliarsi solo un po’ (con l’offerta netta di BTP italiani1 che passerà da negativa nel 2017 a leggermente positiva nel 2018). Le banche centrali difficilmente si prenderanno una vacanza a breve.

Tutto bene sul fronte delle valutazioni azionarie e degli strumenti sensibili alla crescita

Da tempo si teme che il ritiro del QE e la riduzione del ritmo degli acquisti da parte delle banche centrali turbino i mercati, facendo oscillare in modo incontrollato i tassi di interesse e scendere molto le valutazioni azionarie. Al contrario, le banche centrali probabilmente riusciranno a ritirare le politiche monetarie estremamente accomodanti producendo sul mercato un impatto limitato e inferiore al previsto.

Primo, le azioni europee non sembrano sopravvalutate, né appare limitato il loro potenziale di crescita se consideriamo le brillanti prospettive economiche. Negli ultimi 18 mesi circa, e nonostante un ciclo politico tumultuoso e ancora in corso, la crescita in Europa è stata sorprendente: tutti gli indicatori segnalano che la fase di rialzo del ciclo non si è ancora conclusa e l’attività potrebbe persino accelerare, presupponendo l’assenza di sconvolgimenti sul fronte politico. Le azioni europee possono salire ancora e i prezzi forse non riflettono pienamente le prospettive di crescita e inflazione, soprattutto se l’euro si rivaluterà solo lentamente.

Secondo, anche se le azioni USA hanno raggiunto nuovi massimi (in particolare gli indicatori standard come lo Shiller P/E appaiono estremi), sono sostenute dai fondamentali societari robusti, indipendentemente dall’imminente riforma fiscale, ancora da definire, e dai tassi di interesse molto bassi che favoriscono sia il finanziamento del debito a buon mercato sia i bassi tassi di sconto. Non c’è ragione per prevedere che questi fattori positivi cambieranno nel prossimo anno, né che si verificherà una brusca correzione dei mercati obbligazionari.

In tale scenario, gli indicatori delle valutazioni dovrebbero autocorreggersi nei prossimi due anni, in concomitanza con la crescita degli utili. In base ai nostri calcoli, qualora le imprese americane confermassero le attuali aspettative di utile nel 2018 e 2019, il livello attuale dei prezzi sarebbe in linea con uno Shiller P/E di 25 (attualmente 31).

Pertanto prevediamo un rendimento complessivo a una cifra per le azioni USA nel 2018, in linea con la crescita moderata degli utili, e un successivo rallentamento. Un possibile rischio di rialzo è rappresentato naturalmente dall’imminente riforma dell’imposta per le imprese che potrebbe far incrementare non solo gli utili ma anche i riacquisti di azioni proprie, qualora venisse rimpatriata la liquidità dall’estero, cosa che non ci sembra probabile.

Alla luce dell’imminente rallentamento (2019) e dato che il principale rischio di perdita riguarda la crescita locale poiché i prezzi azionari in questo momento fanno particolare affidamento sulla crescita degli utili, suggeriamo di non sovrappesare azioni americane.

Nel complesso, abbiamo conservato la nostra asset allocation e abbiamo una preferenza per gli strumenti sensibili alla crescita, non solo le azioni ma anche il segmento high yield e il debito dei mercati emergenti, mentre manteniamo la posizione strutturalmente negativa in Treasury, in titoli di Stato core dell’Eurozona e in credito investment grade USA. Una politica meno accomodante da parte delle banche centrali e l’incremento dell’inflazione dovrebbero infatti tradursi in un rialzo dei rendimenti obbligazionari, mentre il credito investment grade in genere riporta performance meno positive verso la fine del ciclo.

Il principale cambiamento nelle nostre posizioni questo mese riguarda le valute, dove abbiamo incrementato le posizioni long sul dollaro USA sulla scorta del miglioramento delle prospettive di crescita e della stretta da parte della Federal Reserve. Anche le posizioni speculative sembrano eccessivamente al ribasso.

Ci aspettiamo un rimbalzo dopo una svalutazione costante per tutto il 2017. Tuttavia, il modo migliore per esprimere una prospettiva rialzista sul dollaro è di assumere una posizione al rialzo sul dollaro americano rispetto al dollaro australiano e al franco svizzero, che sembrano più vulnerabili.

Numerosi rischi, in attesa della volatilità

La “price action” è stata alquanto limitata nelle ultime settimane, in linea con gli indici di volatilità che restano sui minimi o vicino ai minimi storici nelle diverse asset class. Comunque si vanno delineando, tra ora e fine anno, diversi rischi di evento. Per quanto siamo fiduciosi, questi rischi comprendono le decisioni delle banche centrali, in particolare della BCE, della Banca d’Inghilterra e della Federal Reserve. La comunicazione sarà fondamentale.

Anche la proposta della Casa Bianca su chi sarà il prossimo presidente della Fed potrebbe provocare una reazione del mercato di ampia portata, se comporta un cambiamento di prospettiva significativo. Eppure le banche centrali finora hanno proceduto con cautela e si sono assicurate di comunicare al mercato cosa, quando e come avverrà l’uscita dal QE.

Dunque, i sondaggi presso gli investitori indicano che è la politica il rischio principale. Da questo punto di vista, la riforma fiscale negli Stati Uniti sembra un rischio al rialzo, considerato che i prezzi sul mercato sono coerenti con aspettative limitate. Vale la pena di monitorare anche i progressi sulla riforma del NAFTA (accordo nordatlantico di libero scambio) poiché il peso messicano sembra nuovamente sotto pressione.

La crisi in Catalogna è ancora in divenire, nel momento in cui scriviamo. Il mercato esprime ottimismo, che anche noi condividiamo: la price action resta molto limitata, con una lieve sottoperformance degli strumenti spagnoli rispetto al resto d’Europa. Se tutto questo sembra troppo bello per essere vero, non aspettiamoci che le banche centrali vadano in vacanza: continuano ad essere il miglior guardiano della stabilità.

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