Gallardo (Natixis AM): “In Giappone sara’ boom di utili societari”

Di Raphael Gallardo, Multi-Asset Strategist Investment and client solutions di Natixis AM

La riduzione della pressione fiscale sulle società quotate favorisce le azioni giapponesi. I rischi? Un possibile ritorno della deflazione in caso di shock esterni e una possibile ritorsione americana contro la politica dello yen debole.

Nel primo semestre di quest’anno, il Giappone ha segnato un tasso di crescita dell’1,5% che può essere considerato una performance di tutto rispetto per un’economia il cui potenziale di crescita stimato è dell’1%. L’espansione dell’economia giapponese è stata favorita da tutti i fattori guida della domanda privata: esportazioni, investimenti produttivi, spesa delle famiglie. La forza di questa fase di crescita sta nel fatto che essa è non è guidata soltanto dal miglioramento degli scambi commerciali a livello mondiale, come è accaduto nelle false partenze dell’economia giapponese che si sono verificate in questi due decenni, ma piuttosto è il risultato delle sinergie delle tre frecce del programma economico del Primo Ministro Shinzo Abe (stimoli fiscali, politica monetaria accomodante, riforme strutturali). La politica monetaria è basata su tre aree (Quantitative Easing, politica di tassi negativi e controllo della curva dei tassi) al fine di mantenere lo yen debole e i tassi a lungo termine bassi, nonostante la continua insostenibilità del deficit (il debito pubblico è stato monetizzato al 45%). Le riforme del mercato del lavoro a sostegno dell’immigrazione e della crescita della presenza della manodopera femminile sono state in grado di assicurare il mantenimento di ampi margini da parte delle imprese, nonostante la piena occupazione con un tasso di disoccupazione risibile al 2,8%.

Questa politica economica ha i suoi limiti: siamo infatti lontani dall’inflazione target del 2% e ciò rende l’economia vulnerabile a un ritorno alla deflazione nel caso di shock esterni. Il miglioramento delle finanze pubbliche è rallentato, mentre l’invecchiamento della popolazione si è tradotto in un’erosione delle attività estere del paese (attualmente pari al 65% del PIL). Gli aggiustamenti fiscali riguardano soprattutto le famiglie attraverso l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, mentre le aliquote sulle società sono state significativamente ridotte dal 40 al 30%, gonfiando così ulteriormente i margini societari. Infine, sugli incentivi per le istituzioni finanziarie al fine di rendere i loro portafogli più internazionali pende una lama a doppio taglio: da una parte, infatti, potrebbero scatenare una incontrollabile fuoriuscita di capitali nel caso di una perdita di fiducia nella politica monetaria, nel caso in cui le aspettative di inflazione dovessero salire. Dall’altra, le banche giapponesi sono diventate le più grandi prestatrici del mondo di eurodollari, esponendole al rischio di una stretta potenziale sulla liquidità del dollaro (il quantitative tightening della Fed).

Al momento, il fallimento della Bank of Japan nello spingere al rialzo le attese di inflazione ha salvaguardato paradossalmente dal rischio di vendite su yen e titoli governativi giapponesi (JGB). Le fuoriuscite di capitale sono state inoltre limitate dal rinnovato premio sullo swap dollaro-yen che ha ridotto l’appeal dei bond statunitensi una volta incorporato il costo della copertura. E’ per questo che la crescita giapponese è particolarmente robusta e sbilanciata in favore dei profitti societari. Non sorprende quindi che la crescita attesa degli utili delle società quotate sia superiore al 10%.
Le valutazioni delle azioni giapponesi sono molto attraenti secondo la nostra opinione (price to book dell’1,4 a fair value, P/E 14x contro 16x nel nostro modello). La Banca del Giappone, infine, continua a comprare azioni attraverso gli ETF.
Quindi noi continuiamo a sovrappesare le azioni giapponesi nei nostri portafogli multiasset.

I rischi su questo posizionamento sono innanzitutto politici. La crescita giapponese dipende infatti dallo slancio della Cina, ma un ribaltamento del ciclo cinese sembra improbabile nel breve periodo dopo il make-up del Partito Comunista dopo l’ultimo congresso. Tuttavia, le elezioni del 22 ottobre hanno già avuto un impatto sulla politica economica giapponese: l’emergere di una nuova opposizione guidata dal governatore di Tokyo, Yuriko Koike, ha obbligato il governo a prendere nuovi impegni fiscali (la metà delle entrate derivanti dall’aumento dell’imposta sul valore aggiunto nel 2019 finiranno nel budget dedicato all’educazione). Nel frattempo, rimangono le minacce geopolitiche. L’eccedenza commerciale giapponese, gonfiata dalla politica di uno yen debole, potrebbe attirare l’ira della Casa Bianca, come è accaduto con Reagan. Il Giappone infine è esposto al rischio di un’escalation nella crisi nordcoreana: questo problema è un rischio sistemico per tutte le asset class (azioni, credito) che copriamo in parte attraverso la nostra esposizione all’oro e al dollaro.

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