Lo shopping cinese porta benefici immediati alle finanze delle PMI

a cura di Crif Ratings

Il tema degli investimenti stranieri in Italia ha assunto una centralità sempre maggiore come driver a supporto della modesta crescita dell’economia italiana. A questo scopo, un ruolo progressivamente crescente viene da quelle economie emergenti che negli ultimi anni hanno mostrato maggiore vivacità in termini di investimenti all’estero. Tra queste, sicuramente la Repubblica Popolare Cinese che per la prima volta nel 2015 è diventata un investitore netto visto che gli investimenti in uscita dal Paese hanno superato gli investimenti stranieri in Cina.

Dopo Regno Unito e Germania, l’Italia è il terzo Paese europeo di destinazione degli investimenti cinesi, grazie ad un controvalore che ha raggiunto EUR12,8mld nel 2016. Oggetto dell’attenzione delle politiche di investimento dei gruppi cinesi non sono solo grandi realtà come Pirelli, recentemente interessata dalla più grande Initial Public Offering (IPO) realizzata nel 2017 nell’Europa occidentale. L’attenzione dei capitali cinesi si è, infatti, progressivamente estesa anche sulle tante piccole e medie imprese (PMI) che caratterizzano il tessuto economico e imprenditoriale italiano.

Su questo tema CRIF Ratings ha realizzato una ricerca volta a verificare gli effetti derivanti dall’ingresso di capitali cinesi sulla solidità finanziaria di un campione di PMI italiane. In particolare, sono state prese in esame 40 aziende, con fatturato inferiore a EUR500m, oggetto di un’acquisizione di controllo da parte di Gruppi cinesi tra il 2010 e il 2015. La numerosità delle imprese analizzate risulta inferiore all’intero universo delle aziende italiane acquisite da società cinesi; questo perché nello studio di CRIF Ratings sono state escluse le realtà di maggiori dimensioni economiche (con fatturato superiore a EUR500m), gli ingressi nel capitale sociale con quote di minoranza, le acquisizioni che si sono concretizzate in annualità che non rientrano nella finestra temporale 2010-2015 e, in ultimo, tutte le operazioni concretizzate da Gruppi cinesi tramite aziende controllate con sede legale in Paesi diversi dalla Repubblica Popolare.

I due terzi delle PMI del campione preso in considerazione operano nel manifatturiero, in linea con le politiche d’investimento suggerite a livello centrale dal governo cinese; all’interno del manifatturiero italiano, i comparti che suscitano maggiore interesse tra gli investitori cinesi sono la meccanica strumentale, in particolare la robotica, e la componentistica auto.

Dalla ricerca emergono chiaramente i benefici sulla struttura finanziaria e patrimoniale del campione già a distanza di un anno dall’ingresso dei nuovi soci di maggioranza cinesi. A livello aggregato, le aziende considerate mostrano una riduzione della leva finanziaria, misurata dal rapporto tra Debiti finanziari ed EBITDA, a 1,9x nell’anno post-acquisizione da 5,7x nell’anno pre-acquisizione. Allo stesso modo migliora anche il rapporto tra Debiti finanziari e Patrimonio Netto, passato a 0,5x da 1,9x.

Gli evidenti benefici derivanti dall’ingresso di capitali cinesi sul profilo di rischio finanziario delle PMI acquisite si giustificano con iniezioni di risorse finanziarie che si sono tradotte in un rafforzamento dei livelli patrimoniali e in una contemporanea contrazione dell’indebitamento finanziario. “Stando ai risultati del campione esaminato, le PMI interessate da investimenti cinesi hanno avuto benefici immediati in termini di stabilità finanziaria e patrimoniale. Le strategie di acquisizione portate avanti dai gruppi cinesi sul tessuto produttivo nazionale sono spesso accompagnate da significative iniezioni di liquidità a beneficio di equity e indebitamento” afferma Chloé Ehrhardt, Associate del team analitico di CRIF Ratings e autrice della ricerca.

Sul fronte del debito, l’indebitamento finanziario netto (Debiti Finanziari – Disponibilità Liquide) del campione si è ridotto del 69%, una tendenza positiva che ha caratterizzato il 77% delle PMI acquisite. Il vantaggio immediato sull’equilibrio finanziario-patrimoniale è evidente anche dalla dinamica patrimoniale: il Patrimonio Netto del campione è cresciuto a livello aggregato del 25% tra l’anno post-acquisizione e l’esercizio precedente all’operazione di M&A e questa tendenza ha coinvolto il 62% delle imprese del campione.

A un anno dall’acquisizione i vantaggi non sono invece ancora evidenti dal punto di vista della marginalità: l’EBITDA margin resta sostanzialmente stabile rispetto all’anno in cui si è concretizzata l’acquisizione e in contrazione rispetto all’anno precedente. “Ciò è però compatibile con l’orizzonte temporale di medio e lungo termine nel quale emergono gli eventuali benefici derivanti dalle sinergie industriali e commerciali che spingono le operazioni di M&A”, aggiunge Chloé Ehrhardt. Considerato che la gran parte delle acquisizioni cinesi in Italia si sono concretizzate solo di recente, per l’Agenzia di rating i prossimi anni saranno decisivi per valutare l’impatto di queste operazioni sulla struttura produttiva italiana anche in termini di redditività.

Allo stesso modo, a distanza di un anno dall’acquisizione non emergono variazioni significative in termini di propensione agli investimenti: all’interno del campione, il rapporto tra Capital Expenditure (CAPEX) e Fatturato, indicatore solitamente utilizzato per misurare l’attitudine ad investire delle imprese, resta intorno al 4% in linea con l’anno pre-acquisizione.

La maggior parte degli investimenti ha per oggetto beni materiali, mentre gli asset immateriali rivestono un ruolo marginale. All’interno del campione, infatti, brevetti, marchi, licenze e concessioni rivestono un ruolo assolutamente residuale rispetto al valore complessivo degli asset. In particolare, il peso dei brevetti resta stabilmente sotto lo 0,5%. Marchi, licenze e concessioni cumulativamente rappresentano, invece, il 2% del totale attivo nell’anno post acquisizione, in crescita rispetto all’1,3% dell’esercizio pre-acquisizione. A quest’ultimo riguardo va tuttavia segnalato come il trend migliorativo sia imputabile a una singola realtà del campione che a seguito dell’acquisizione ha contabilizzato un notevole incremento nel valore delle licenze. Secondo CRIF Ratings, questi dati testimoniano che, nella scelta delle PMI target da acquisire, gli investitori cinesi guardano solo marginalmente a brevetti, marchi licenze e concessioni. “Diversamente da quanto spesso accade nelle acquisizioni delle grandi aziende italiane, nelle PMI gli investitori ricercano un know how difficilmente codificabile, fatto di professionalità ed esperienze, che non trova contabilizzazione all’interno dei bilanci aziendali pur costituendo una tipicità del made in Italy portato avanti da tante piccole e medie imprese italiane”, conclude Chloé Ehrhardt.

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