Raddoppiano i tassi nel Regno Unito

A cura di Chris Iggo, cio obbligazionario, Axa Investment Managers

La scorsa settimana la Banca d’Inghilterra ha alzato i tassi dello 0,25% ma questo intervento non peserà molto sulle finanze delle persone. È vero, i tassi sono raddoppiati ma restano di poco sopra lo zero. Coi tassi allo 0,5%, il rendimento su risparmi di 1000 sterline sarebbe di 5 sterline.

La risonanza del rialzo nei mezzi di informazione dipenda dal fatto che i tassi non venivano toccati da dieci anni. Invece i mercati non ne hanno fatto una tragedia e sono rimasti entro i range abituali. La politica globale della normalizzazione dei tassi va avanti molto gradualmente e continuerà con questi ritmi.

È così importante? – Ci sono due modi di interpretare la decisione presa dal Comitato di politica monetaria (MPC). Alcuni mezzi di informazione hanno riportato la decisione in modo leggermente isterico, riassumibile nel titolo “La Banca d’Inghilterra raddoppia i tassi di interesse” con un corollario di articoli sull’impatto che il rialzo dei tassi avrà su risparmiatori e debitori (in realtà, non molto). L’altro modo di interpretare questo rialzo è che, di fatto, si tratti di una correzione estremamente modesta del costo del denaro. Sostanzialmente elimina il taglio che era stato attuato sull’onda del referendum in merito all’adesione all’Unione Europea del 2016.

Il ciclo di politica monetaria nel Regno Unito è una specie di ibrido tra l’approccio della Federal Reserve e quello della Banca Centrale Europea. Infatti, ha terminato da tempo il piano di acquisto di titoli, ma non ha ancora definito un piano per ridimensionare il proprio bilancio. È necessariamente meno aggressivo sul fronte dei tassi rispetto alla Federal Reserve a causa dei rischi collegati alla Brexit, ma si trova in una fase più avanzata del processo di normalizzazione rispetto alla BCE perché, apparentemente, l’economia sta andando molto meglio (calo della disoccupazione, aumento dell’inflazione). I tassi, pur essendo raddoppiati, restano incredibilmente bassi per chiunque si ricordi com’erano le cose più di nove anni fa.

Reazioni modeste – La reazione del mercato è stata modesta. I rendimenti dei Gilt in effetti sono più bassi, ma i titoli di Stato avevano iniziato un rally a breve termine già da due settimane. Il fatto è che i tassi a lungo termine in tutti i principali mercati obbligazionari restano entro i margini in cui hanno scambiato per tutto l’anno (e oltre). Senza segnali rilevanti di un aumento dell’inflazione su scala globale, e di fronte agli interventi estremamente modesti da parte della Federal Reserve e della Banca d’Inghilterra verso livelli più normali (per quanto nuovi) dei tassi di interesse, le curve dei rendimentitendono ad appiattirsi.

Un nuovo Presidente per la Federal Reserve – La rapidità con cui la Federal Reserve proseguirà nel processo di normalizzazione dipende in parte dal diverso approccio di Jerome Powell al vertice della banca centrale americana e, a meno che non si verifichino cambiamenti sostanziali nell’evoluzione dell’economia, è difficile che Powell cambi l’attuale orientamento della banca centrale americana.
Nel breve termine le aspettative sono per un rialzo dei tassi il prossimo mese e altri 2-3 nel 2018. La politica fiscale potrebbe modificare le prospettive per i tassi, tuttavia è meglio non fare ipotesi finché non saranno attuate le proposte del Partito Repubblicano a Washington.

Poco cambia? – Non passeremo improvvisamente a una fase post-quantitative easing, pertanto i prezzi degli strumenti finanziari continueranno a essere influenzati pesantemente dalla politica monetaria. Nel mercato obbligazionario ciò significa che i premi a termine e il rischio di credito probabilmente resteranno contenuti, schiacciati dal peso della caccia al rendimento in un contesto caratterizzato in genere da bassi tassi di interesse. Da tempo credo che il rischio principale per la performance dei portafogli obbligazionari sia il rischio di un aumento dei rendimenti durante il processo di normalizzazione.

Mediamente ci si aspetta che la banca centrale americana porterà i tassi al 3,0% nel 2020 (fatto non sorprendente con un tasso di crescita del Pil nominale del 4%).

La Cina – Per quanto riguarda il rischio di credito, i fondamentali finora sono estremamente favorevoli. Per assistere a un rialzo degli spread di credito o a un aumento delle insolvenze stimate dovrebbe esserci un evento di credito o qualche turbolenza nel ciclo globale.

Un tema importante è la crescita stabile. Un tasso di crescita del 6,5% per un’economia delle dimensioni di quella cinese è importante per gli scambi globali. Secondo la Banca Mondiale, la Cina è la seconda economia al mondo, con un Pil di circa 11.000 miliardi di dollari, rispetto agli Stati Uniti che sono al primo posto con un Pil di 18.500 miliardi di dollari. Un tasso di crescita reale del 6,5% per la Cina equivale a una crescita del 4% per gli Stati Uniti (in dollari).

La politica “One Road, One Belt” è l’espressione del desiderio di rendere il successo della Cina globale. All’influenza economica farà seguito l’influenza finanziaria. Infine, sul fronte politico, a parte il consolidamento del potere di Xi Jinping, si è cercato di dare più flessibilità ai piani quinquennali così che i policymaker siano meno vincolati dai target del Pil e possano concentrarsi invece sulla stabilità della crescita nel lungo termine. La ripresa degli scambi commerciali globali negli ultimi diciotto mesi non dipende solo dalla Cina, che però resta uno dei principali fattori della ripresa.

È la Brexit la chiave dei futuri aumenti dei tassi nel Regno Unito – E torniamo dunque alla Banca d’Inghilterra. Forse ha il compito più difficile tra tutte le principali banche centrali. Sta cercando di amministrare i tassi di interesse in un’economia che subirà forti scossoni nei rapporti commerciali che hanno regolato gli affari negli ultimi quarant’anni. Certo, è ancora possibile che i negoziati sulla Brexit portino a un accordo che riduca al minimo le differenze nei rapporti commerciali con l’Europa, ma in questa fase non ci sono garanzie. In ogni caso, ci sembra improbabile che il Regno Unito mantenga lo stesso accesso al mercato unico se lascia l’Unione Europea.

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