La volatilità non deve essere temuta

A cura di Didier Saint-Georges, Managing Director e Membro del Comitato Investimenti di Carmignac
Spesso i mercati sono soggetti a movimenti rapidi, irregolari, di entità ridotta e privi di un orientamento ben definito. Questa volatilità è una manifestazione tangibile dell’incertezza dei mercati in alcuni momenti particolari, e può essere quantificata, poiché è possibile calcolare con facilità l’ampiezza delle variazioni in termini di quotazione di un asset finanziario. Di conseguenza, è logico che i professionisti impieghino la volatilità come rappresentazione del rischio. Tuttavia questo utilizzo ha generato una forte confusione nella mente di molti investitori.
In primo luogo, se è vero che la volatilità rappresenta effettivamente una misurazione dell’incertezza, spesso viene erroneamente considerata come un chiaro segnale di pericolo. Nell’ambito dei mercati, così come nella vita quotidiana, la rapidità di movimento, in una direzione o in quella opposta, non è necessariamente sinonimo di vulnerabilità. Potrebbe anche indicare grande flessibilità, in grado di contrastare maggiormente uno shock rispetto a un rigido immobilismo. La vita è movimento, e bisognerebbe chiederne conferma a Muhammed Ali, Blaise Pascal o a un qualsiasi reumatologo. Nassim Taleb inoltre rammenta che i proventi di un tassista libero professionista sono volatili, ma almeno non rischiano di essere azzerati in qualsiasi momento a seguito di un licenziamento. Analogamente, un asset finanziario, un mercato, un fondo leggermente volatili possono ampiamente dimostrarsi solidi.
Viceversa, un asset finanziario molto stabile può improvvisamente registrare un crollo (così come il reddito costante di un impiegato bancario può scomparire a causa di un licenziamento), oppure altrettanto lentamente deprezzarsi ogni giorno, senza essere volatile, mandando gradualmente in rovina l’investitore che lo detiene in portafoglio.
Prendiamo ad esempio un investitore molto conservatore, che, in un’ottica difensiva, abbia investito i suoi risparmi in titoli governativi tedeschi. In uno scenario di crescita lenta ma implacabile dei tassi di interesse di mercato, il valore di questo investimento, già poco remunerativo per il sottoscrittore, si deteriorerebbe giornalmente a livello di prezzo (un asset che distribuisce una cedola bassa ha sempre meno valore in un contesto in cui le nuove emissioni offrono cedole più alte).
L’investitore vedrebbe svanire lentamente il valore del proprio investimento, e in assenza di volatilità. Questo asset stabile e “rifugio” potrebbe anche perdere improvvisamente gran parte del suo valore in caso di forte aumento dei tassi di interesse. È ciò che è accaduto nella primavera del 2015, quando molti investitori europei detenevano in portafoglio titoli governativi tedeschi, in virtù delle loro caratteristiche difensive. Il titolo offriva ai sottoscrittori un rendimento quasi nullo, ma questa era la “contropartita” richiesta per la sicurezza offerta da questo asset di rating elevato. Agli inizi di aprile, un miglioramento delle prospettive economiche europee aveva fatto aumentare i tassi di interesse dell’Eurozona.
Il prezzo del Titolo di Stato tedesco aveva quindi subìto una correzione, e in meno di due mesi, dal 20 aprile al 10 giugno, si era deprezzato del 9%. Il valore di questo titolo, stabile per definizione, improvvisamente si era dimostrato più a rischio di quanto potesse sembrare. L’investitore che aveva investito nei titoli governativi tedeschi cadde vittima della sindrome del “tacchino induttivista”, citata da Nassim Taleb: ogni giorno dell’anno il tacchino, regolarmente nutrito dal fattore, elabora la visione di un mondo stabile, tranquillo e prevedibile. Improvvisamente la vigilia del 25 dicembre, scopre che questa tranquillità è ingannevole.
Di certo la volatilità non è di per sé “auspicabile” e i gestori non dovrebbero utilizzare l’eufemismo della volatilità di un fondo per giustificare in realtà rendimenti estremamente instabili, dovuti a errori di gestione o a un’eccessiva assunzione di rischi. Resta tuttavia il fatto che la volatilità in quanto tale non deve essere temuta. Al contrario, bisogna anzi riconoscere che focalizzarsi sulla performance a medio termine rende necessario adattarsi ai “contraccolpi” quotidiani.
Non è realista sperare di conseguire rendimenti elevati nel lungo periodo senza risentire di qualche turbolenza a breve termine. La prima anomalia che avrebbe dovuto mettere in allarme i risparmiatori che avevano investito nei fondi gestiti da Bernard Madoff era la volatilità estremamente bassa. I clienti di Madoff credevano di beneficiare di una strategia di straordinario successo, ma in realtà erano solo le ultime vittime della sindrome del tacchino induttivista. L’antipatia ispirata dalla volatilità, caratterizzata da piccole perdite e piccoli guadagni che si alternano, può dimostrarsi una pessima consigliera.

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