Fondi passivi, azionisti attivi

A cura di Morningstar
L’esplosione degli investimenti in prodotti passivi ha sollevato interrogativi sull’impatto dei flussi derivanti da fondi indicizzati (e quindi anche di Exchange traded fund) sulla corporate governance delle aziende detenute in portafoglio e sull’impegno per garantire che le società agiscano nell’interesse degli investitori.
Per comprendere meglio le attività di engagement (partecipazione attiva al governo societario per stimolare comportamenti sostenibili) e la sensibilità alla stewardship (concetto secondo il quale gli interessi dei gestori si allineano con quelli dei sottoscrittori) degli emittenti di fondi passivi (quotati e non), Morningstar ha condotto un sondaggio specifico esaminando il comportamento dei 12 principali fornitori di fondi indicizzati ed Etf al mondo.
Va sottolineato che la maggior parte di queste società offrono anche dei fondi attivi, il cui peso, in alcuni casi, può essere molto più importante della parte passiva. Gli emittenti intervistati (elencati nella tabella sottostante, con il dettaglio tra patrimonio passivo e attivo) gestiscono collettivamente oltre 20 mila miliardi di dollari.

Investimenti sempre più passivi, sempre più sostenibili
L’interesse verso il comportamento e la filosofia degli investitori passivi deriva innanzitutto dalla crescita esponenziale della gestione indicizzata degli ultimi anni. Gli asset globali gestiti da prodotti passivi sono passati negli ultimi dieci anni da 1,8 mila miliardi di dollari a 8,1 miliardi, arrivando a pesare il 25% del patrimonio totale (dati al 30 settembre 2017). Questa tendenza è stata particolarmente pronunciata negli Stati Uniti, dove i flussi verso i fondi passivi hanno costantemente superato quelli versi quelli attivi, e dove oggi il 36% del mercato del risparmio gestito è passivo (vedi grafico qui sotto). In Giappone, invece, dove i numeri sono ancora più impressionanti, molto è dipeso dagli acquisti di Etf da parte della banca centrale nell’ambito del programma di allentamento quantitativo.

In concomitanza con l’esplosione dei flussi verso la gestione indicizzata, anche gli investimenti responsabili hanno costantemente guadagnato in popolarità. Le questioni ambientali, sociali e di governance sono diventate una delle aree di maggiore interesse, anche tra gli investitori passivi. Vi è infatti una crescente convinzione che l’integrazione dei criteri ESG e le pratiche di azionariato attivo, attraverso il voto, possano avere un impatto positivo sulla performance degli investimenti.
Una delle prove più evidenti di questa tendenza è ad esempio l’adozione di codici di comportamento sensibili alla stewardship in diversi paesi, tra cui il Regno Unito, la Svizzera e più recentemente il Giappone. Oppure il fatto che il numero delle società firmatarie dei Principles for Responsible Investment (principi per un investimento responsabile) delle Nazioni Unite sia in costante aumento.
Con l’eccezione di Schwab, tutte le case di gestione che hanno partecipato al sondaggio di Morningstar hanno firmato la carta dell’ONU. La firma di questi principi consente alle Sgr di dimostrare pubblicamente il proprio impegno per un investimento responsabile. Inoltre, i firmatari si impegnano a essere azionisti attivi e a incorporare i criteri ESG nelle loro politiche d’investimento.

Investitori passivi con approccio proattivo
La nostra ricerca mostra che le Sgr con offrono prodotti indicizzati assumono sempre più un atteggiamento proattivo nella supervisione delle società partecipate. Lo fanno stabilendo politiche indipendenti che riflettono i loro valori e le valutazioni su come le imprese dovrebbero essere governate e, in ultima analisi, esercitando i loro diritti di voto alle assemblee generali annuali. Spesso ciò significa votare contro proposte di gestione aziendale se sono considerate non in linea con gli interessi degli azionisti o non sostenibili (vedi tabella sottostante).
Per amplificare il loro impatto, la maggior parte degli investitori passivi interagiscono con un sottoinsieme delle società che detengono in portafoglio, dando la priorità alle imprese che affrontano rischi materiali o impiegano pratiche ESG molto diverse dai loro concorrenti. Essere azionisti di lungo periodo colloca questi investitori in una posizione unica per stabilire relazioni solide con le società partecipate e influenzare il loro comportamento. A differenza dei fondi attivi, infatti, che possono semplicemente vendere delle azioni quando non sono d’accordo con il modo in cui viene gestita un’azienda, i fondi che replicano un indice non possono.
Allo stesso tempo, un numero crescente di investitori si interessa alle problematiche ESG e si aspetta che i gestori patrimoniali affrontino tali questioni direttamente con le società di loro proprietà. Praticamente tutti le Sgr intervistate da Morningstar hanno segnalato un aumento delle richieste dei clienti riguardo alle attività di stewardship, mentre le stesse società partecipate prestano a loro volta sempre più attenzione alle richieste dei loro maggiori investitori, indipendentemente dal fatto che le loro azioni siano detenute in portafogli attivi o indicizzati.

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