Le politiche delle banche centrali in un contesto di forte crescita e bassa inflazione

Di Willem Verhagen, Senior Economist di NN Investment Partners

La BCE in Europa si trova ad affrontare la stessa dicotomia tra economia reale e nominale che la Fed si è trovata di fronte negli Stati Uniti. Il dualismo è in realtà più grande su questa sponda dell’Atlantico, il che è normale se si considera che il ciclo europeo ha un ritardo di circa quattro anni rispetto agli Stati Uniti e che il rischio di slittamento delle aspettative inflazionistiche è molto più alto. Il lato reale dell’economia è sempre più avanti con sorprese al rialzo, soprattutto nei dati sulla fiducia, ma anche nei dati reali. È importante sottolineare che la regione sta recuperando il terreno perduto sul versante della crescita e ha ancora ampio spazio per continuare a farlo. Nel frattempo, l’economia nominale continua a indicare un tasso di inflazione sottostante ben al di sotto del target della BCE.

Il trend di crescita dei salari negoziati è ancora in discesa, mentre altre misure di crescita salariale mostrano un leggero accenno di ripresa. Tuttavia, anche la crescita della produttività sottostante è in qualche modo in miglioramento e perciò un po’ di ulteriore crescita salariale non apporterà probabilmente un ulteriore slancio alla dinamica dell’inflazione sottostante. Alla luce di tutto questo, non sorprende che Draghi abbia inviato un messaggio di continuità durante la sua ultima conferenza stampa. In particolare, non è stata comunicata alcuna modifica imminente di nessuno degli strumenti di politica monetaria. L’elemento più evidente è stato probabilmente l’aggiornamento delle previsioni, in cui la crescita del 2018 è stata rivista al rialzo di 0,5 punti percentuali al 2,3% e di 0,2 punti percentuali all’1,9% nel 2019. Si prevede che la crescita nel 2020 sarà dell’1,7%. Questo indica una crescita superiore al potenziale per i prossimi anni, motivo per cui non sorprende troppo che la BCE preveda un calo delle stime relative al tasso di disoccupazione al 7,8% nel 2019 e al 7,3% nel 2020.

La cosa interessante in questo caso è che le previsioni della Bce ci dicono che sta pianificando di fare la stessa cosa della Fed, vale a dire che punta di far surriscaldare l’economia per un po’, con l’obiettivo di spingere l’inflazione verso l’alto. La situazione delle due banche centrali è simile, dal momento che probabilmente entrambe ammettono implicitamente il rischio di un calo delle aspettative inflazionistiche. Tuttavia, mentre la Fed sta già attuando questo piano, per le BCE finora si tratta solo di un’intenzione e resta da vedere se alla fine sarà portata avanti o meno.

Ci aspettiamo che la BCE continui il processo di graduale riequilibrio tra gli strumenti, ossia una minore enfasi sul QE e un maggior ricorso alla forward guidance dei tassi. Il nostro scenario di base prevede che intorno a giugno/luglio la BCE annuncerà l’avvio di un tapering graduale verso lo zero tra settembre e dicembre 2018, a condizione che lo slancio inflazionistico mostri un miglioramento convincente. Se l’inflazione non aumenta, si rischia che la BCE prosegua il programma di acquisti su scala molto ridotta fino al 2019. L’unico scopo di ciò sarebbe quello di consolidare la guidance secondo cui i tassi rimarranno in sospeso “ben oltre” la fine degli acquisti netti di asset.

Il tema comune per le tre più importanti banche centrali del mondo è la giustapposizione di una forte crescita e di inflazione soft. In risposta a questa situazione la BoJ, la Fed e la Bce segnalano di ritenere ottimale surriscaldare in una certa misura l’economia, almeno rispetto ai propri parametri ex ante di piena occupazione. Naturalmente, vi sono grandi differenze tra queste banche centrali. La BoJ è molto aperta sulla sua intenzione di surriscaldare l’economia e rendere possibile un aumento dell’inflazione persistente purché moderato.

La Fed ha permesso che questo surriscaldamento avvenisse senza richiamare esplicitamente l’attenzione su di esso e le sue previsioni non includono un superamento dei target d’inflazione. Per quanto riguarda la BCE, si tratta ancora di un’intenzione, perché l’economia è ancora molto debole. Inoltre, la credibilità di questa intenzione è a nostro avviso limitata perché i falchi della BCE sono disposti a sacrificare le aspettative consolidate sull’inflazione per ridurre i rischi, ancora limitati, di squilibri nell’economia reale e/o nel sistema finanziario. Inoltre, è chiaro che molti membri del Consiglio direttivo della BCE considerano l’obiettivo di inflazione come una soglia massima piuttosto che un obiettivo. A nostro avviso, ciò riduce ulteriormente la credibilità del raggiungimento di tassi d’inflazione in media “inferiori ma prossimi al 2%” nel lungo periodo. In ogni caso, è chiaro che questa giustapposizione di crescita forte e inflazione moderata sarà piuttosto importante per la politica delle banche centrali il prossimo anno.

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