Cosa significa essere azionisti attivi

A cura di Sara Silano, Morningstar
La partecipazione attiva di un gestore in un’azienda in relazione ai temi ambientali, di responsabilità sociale e di governo societario è uno degli approcci di investimento a più alto impatto tra quelli sostenibili. In gergo si parla di engagement e può assumere diverse forme, come la discussione con il management e la promozione di mozioni da mettere al voto nell’assemblea annuale (in quest’ultimo caso l’asset manager può votare direttamente o per delega, cosiddetto proxy voting).
Negli ultimi anni, questa pratica è stata utilizzata molto per ottenere una maggior trasparenza da parte delle imprese sui rischi climatici, ma anche per sensibilizzare a un uso responsabile dell’acqua o per incoraggiare le banche a finanziare le energie rinnovabili, oppure per promuovere una migliore e più chiara governance. Secondo l’European SRI Study 2016 di Eurosif, è la terza più importante strategia sostenibile con masse gestite per circa 4,3 mila miliardi di euro solo nel Vecchio continente.
Crescita degli AUM delle strategie di engagement e voting in Europa
Fonte: Eurosif
Il quadro di riferimento
Essere “azionisti attivi” è uno degli impegni che si devono assumere i firmatari dei Principi di investimento responsabile delle Nazioni Unite (UN PRI), a cui sta aderendo un numero sempre maggiore di operatori finanziari (attualmente sono 1.880 in tutto il mondo). Per le società di gestione esistono anche codici di autoregolamentazione, come quello che, in Italia, Assogestioni ha promosso nel 2016, i cui principi si ispirano all’Efama Code for External Governance, approvato nel 2011 dall’Associazione che riunisce gli asset manager del Vecchio continente.
Come si comportano i grandi gestori
La partecipazione e il voto nell’assemblea degli azionisti è uno degli strumenti che dà più visibilità all’attività di engagement. Da un recente studio di Morningstar emerge che le grandi case di investimento, che offrono sia fondi attivi sia passivi, utilizzano praticamente le stesse politiche di voto per entrambe le strategie. “La maggior parte ha un approccio pragmatico, anche se alcune sono più sistematiche”, si legge nel sondaggio che ha coinvolto 12 dei più grandi provider al mondo per un patrimonio in gestione complessivo di 20 mila miliardi di dollari. “Ad esempio, BlackRock e Vanguard esercitano i loro diritti di voto per quasi il 100% del portafoglio azionario. Altre sono più focalizzate sulla regione di appartenenza o sulle partecipazioni maggiori. Amundi lo fa per tutte le imprese francesi in cui investe e quelle internazionali, nelle quali detiene oltre lo 0,05% (il che equivale a circa il 91% del portafoglio equity). Deutsche asset management, invece, lavora su una watchlist che comprende intorno a 700 aziende (oltre il 60% del patrimonio gestito azionario)”.
Per quanto riguarda gli Exchange traded fund (Etf) è bene ricordare che il diritto di voto non può essere esercitato se la replica è sintetica, ossia tramite derivati, ma questa modalità ha perso terreno nell’ultimo quinquennio a beneficio dell’approccio fisico.
AUM degli ETF fisici e sintetici in Europa
Voti pro e contro
Per quanto riguarda il comportamento di voto, lo studio di Morningstar rivela che l’atteggiamento è generalmente a supporto degli amministratori e del consiglio, dal momento che molte questioni sono di ordinaria gestione. Tuttavia, alcune case lo sono più di altre, come ad esempio BlackRock, Vanguard e Fidelity (quest’ultima per la parte di prodotti indicizzati si affida a un advisor esterno). Inoltre, in Europa, i pronunciamenti di opposizione sono più frequenti che negli Stati Uniti.
Pratiche di voto dei grandi gruppi del risparmio gestito
“Le società di gestione adottano diversi modi di dire no”, si legge nello studio. “Ad esempio, BlackRock preferisce prima provare ad ingaggiare il management nel cambiamento e solo come ultima risorsa, se non ottiene ascolto, procede con l’opposizione in assemblea. Amundi, invece, ha una politica più rigida e non esita a votare contro quando le risoluzioni non soddisfano i suoi principi”.
Voto diretto e proxy advisor
Tra i provider di strumenti passivi, è diffuso l’impiego di proxy advisor, ossia di consulenti terzi che forniscono dati e input di voto, che i gestori fanno propri partendo però dalle politiche del gruppo a cui appartengono. I fund manager attivi, invece, hanno team interni di investimento e analisti dedicati ai temi ESG, che in alcuni casi (ma non in tutti) hanno l’ultima parola. Ad esempio, Allianz Global Investors, che non era incluso nell’indagine di Morningstar perché è solo active manager, ha scelto un approccio olistico alla gestione dei portafogli, che integra gli aspetti finanziari e di sostenibilità e prevede il coinvolgimento diretto di gestori e analisti nelle decisioni di voto, come ha recentemente illustrato in un incontro a Milano. “Questa attività è parte dei doveri fiduciari dell’asset manager nei confronti degli investitori”, commenta Isabel Reuss, senior portfolio manager European equities di Allianz GI. “L’approccio ESG non è marketing, ma un generatore di valore in termini di performance”.
Quale trasparenza
Le società fanno disclosure delle pratiche di voto in diversi modi. In alcuni casi, i report e gli aggiornamenti si possono trovare facilmente sul sito societario; in altri sono presenti ma difficili da rinvenire.

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