Inflazione globale: i fattori strutturali alimentano le aspettative

A cura di Alessandro Tentori, Cio Axa IM Italia

Nella seconda metà del 2017 abbiamo assistito a un rally dei breakeven di riferimento nei paesi industrializzati. Se da un lato il movimento delle aspettative di inflazione era prevedibile alla luce del forte rialzo sul prezzo del Brent (+40% da Giugno), dall’altro notiamo che il breakeven sul Treasury a 10 anni non è lontano dai livelli massimi degli ultimi tre anni (2.1%), grazie anche all’impennata di fine anno.
Tendenza più graduale per le aspettative di inflazione in Eurozona (Germania 1.3%), mentre i breakeven sui JGB Giapponesi sono più che raddoppiati negli ultimi quattro mesi (0.62%).

L’effetto del petrolio
La variazione del prezzo del greggio dovrebbe, in teoria, avere un effetto positivo esclusivamente sulle aspettative di inflazione a breve termine. A meno di cosiddetti “second round effects”, un aumento dei prezzi del petrolio oggi verrà automaticamente rimosso dal calcolo degli indici di inflazione annuale tra 12 mesi (effetto di stagionalità). Per questo motivo si sarebbe dovuto assistere a un appiattimento della curva dei breakeven – diciamo tra scadenze a 2 e 10 anni – appiattimento che si è largamente verificato in Francia e Germania, ma in misura inferiore negli Stati Uniti.

Eccesso di domanda?
Potrebbero quindi esserci dei fattori strutturali alla base del riprezzamento delle aspettative di inflazione? Sono sempre più convinto che il perdurare del periodo attuale di crescita globale sincronizzata ci stia conducendo verso una situazione di scarsità di risorse e quindi di inflazione da domanda, in primis sulle materie prime. L’output gap – la differenza tra crescita potenziale e crescita attuale – è il classico indicatore di sovra/sotto-capacità di un sistema economico. Il grafico evidenzia come l’output gap dei paesi OCSE sia stimato intorno allo +0.2% quest’anno e +0.5% nel 2019, i primi due anni di crescita oltre il potenziale dalla crisi del 2008.

Conclusione
Il quadro Atlantico rimane comunque caratterizzato da una forte eterogeneità. Da una parte i rischi di inflazione negli Stati Uniti, che derivano non solo dalla forte domanda interna, ma anche dal mercato del lavoro che opera in un regime di piena occupazione. Abbiamo già discusso in questo blog dei rischi per la stabilità finanziaria che potrebbero derivare da una accelerazione del tightening della Federal Reserve. Sulla sponda Europea, invece, l’inflazione stenta a raggiungere il traguardo prefissato dalla BCE, sia per motivi di domanda, che di offerta e di trasmissione monetaria. Le conseguenze in termini di comunicazione sui grandi temi del policy mix in generale e sulla durata dello stimolo di monetario (la cosiddetta forward guidance) sono ovvie. Non a caso, gli unici overweight su asset governativi nella nostra asset allocation globale sono sull’inflazione americana e sui periferici Europei.

infazione petrolio

 

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