La curva dei rendimenti Usa annuncia recessione? Falso

A cura di Lukas Daalder, Chief Investment Officer di Robeco Investment Solutions

Si è ormai diffuso il timore che un appiattimento della curva, che rappresenta il differenziale di rendimento fra titoli di Stato a breve e a lungo termine, sia di cattivo auspicio. E ciò ha sollevato molte preoccupazioni in coloro convinti che possa essere un segnale della fine dell’espansione USA.

A preoccupare le persone è soprattutto il fatto che tutte le recessioni registrate dalla metà degli anni Settanta sono state precedute da un periodo di curva dei rendimenti negativa, durante il quale i titoli di stato a 10 anni rendevano meno di quelli a 2 anni. È il segnale che ha correttamente previsto cinque recessioni su cinque: né gli economisti (zero su sette) né i mercati finanziari (nove delle ultime cinque recessioni) possono vantare una capacità di previsione tanto efficace. Quindi, a dispetto dell’apparente affidabilità di questo indicatore anticipatore, per una serie di ragioni crediamo che la previsione di una “recessione ormai alle porte” sia attualmente sopravvalutata.

Tanto più che né l’inversione del 1966, né quella del 1998 hanno preceduto una recessione. Pare, quindi, che non tutte le curve dei rendimenti invertite “conducano” a una recessione ed essendo evidente che la curva dei rendimenti non si è sempre dimostrata un sistema di pre-allarme affidabile, è lecito chiedersi se nell’era degli interventi delle banche centrali sui mercati obbligazionari abbia ancora le stesse capacità previsionali di un tempo. Perché allora non si riesce a superare questa paura, laddove gli Stati Uniti sono lontani da una curva dei rendimenti negativa se guardiamo al segmento breve delle obbligazioni a 2 anni o dei tassi a 3 mesi?

Ad alimentarla, sembrano essere le dichiarazioni della Fed per il 2018 di tre rialzi dello 0,25% dei tassi ufficiali, che salirebbero così sopra il 2% per la prima volta dal 2008. Sommando i 75 punti base al tasso di rendimento a 2 anni, mantenendo invariato il rendimento a 10 anni, il gioco è fatto! … ci si ritrova con una curva dei rendimenti negativa. Magari le cose fossero così semplici. Questo ragionamento parte da una serie di supposizioni importanti, tutte contestabili.

In primo luogo, negli ultimi anni abbiamo riscontrato un eccessivo ottimismo nelle aspettative della Fed sui rialzi dei tassi. Non sorprende che i mercati finanziari scontino un rialzo dei tassi di soli 50 punti base, come si può dedurre dal Future sui Fed Funds del dicembre 2018. In secondo luogo, il legame fra il tasso dei Fed Funds e i rendimenti a 2 anni è a dir poco vago. Ma la supposizione più importante, e più improbabile, riguarda tuttavia i rendimenti a 10 anni che nel 2018 rimarrebbero invariati. Ne conseguirebbe che il mercato dei Treasury eviterebbe gli effetti della massiccia liquidazione delle posizioni obbligazionarie in mano alla Fed, oltre che altri problemi come i tagli fiscali di Trump e le tensioni sul mercato del lavoro.

Un’eventuale inversione della curva non implicherebbe quindi per forza una recessione imminente. In passato, l’avvio di una recessione è avvenuto in media dopo altri 18 mesi. Considerando che il ciclo azionario ribassista inizia normalmente a quattro mesi da una recessione, risulta evidente che non si tratti di un segnale di vendita molto affidabile, almeno per ora.

 

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