Rischi d’instabilità e violenza politica sono le incognite del 2018

A cura di Sace
Dei 198 Paesi analizzati, 32 migliorano e 156 restano stabili nella loro categoria di rischio SACE (questi insieme rappresentano il 91% dell’export italiano). Sono 10 i Paesi che peggiorano la propria categoria di rischio. Gli esportatori italiani si troveranno ad operare nel 2018 in un contesto in miglioramento, con una crescita diffusa ma ancora fragile. Fondamentale mitigare i rischi, diversificando le destinazioni dell’export e proteggendo il business.
Sace, che insieme a Simest costituisce il Polo dell’export e dell’internazionalizzazione del gruppo CDP, pubblica la nuova edizione della Mappa dei Rischi e presenta lo scenario atteso in cui si muoveranno le imprese italiane nel Focus On “Mappa dei Rischi 2018: Adelante con juicio”.
Il quadro delineato dal nuovo studio è quello di un miglioramento complessivo dei livelli di rischiosità determinato da una crescita globale in ripresa, con effetti positivi sull’andamento degli scambi internazionali e sull’economia italiana, in particolare sull’export che nel 2017 ha segnato un balzo inaspettato. Permangono, tuttavia, alcuni elementi di instabilità: elevati livelli di indebitamento e incertezza sulla ripresa del ciclo delle commodity pesano soprattutto sugli emergenti, mentre instabilità e fenomeni di violenza politica si diffondono in aree nuove del globo. Le imprese italiane si troveranno quindi a operare in un contesto in miglioramento, che resta tuttavia fragile e in cui si dovranno muovere con cautela, diversificando le geografie e dotandosi di strumenti di mitigazione del rischio.
“Il 2017 è stato un anno positivo per l’economia globale che ha spinto anche la ripresa del commercio internazionale – spiega Beniamino Quintieri, Presidente di SACE -. Prevediamo un 2018 ancora in crescita, ma non privo di rischi. Sarà importante tenere sotto stretto monitoraggio variabili esogene come l’evoluzione delle relazioni degli Stati Uniti con Russia, Medio Oriente e Corea del Nord, le scelte del governo cinese e gli esiti di alcune importanti tornate elettorali che potrebbero destabilizzare equilibri regionali in America Latina o in Africa. Export e internazionalizzazione continueranno a svolgere un ruolo chiave per la nostra economia, ma l’esperienza recente ci ha insegnato a non sottovalutare nessun indicatore. Diventa, quindi, sempre più importante per le imprese saper riconoscere e valutare i rischi, avere una buona diversificazione dei mercati di destinazione del loro export e ricorrere agli strumenti di copertura messi a disposizione dal Polo SACE SIMEST”.
Goldilocks economy: come nel 2007?
La crescita globale si è consolidata nel corso del 2017 (+3,6% atteso), con le economie emergenti a fare da traino (+4,6%) e un netto miglioramento anche dei mercati avanzati (+2,2%). La congiuntura favorevole si è riflessa sulla dinamica degli scambi internazionali, che hanno ricominciato a crescere a ritmi sostenuti (+4,5% nei primi 10 mesi del 2017) dopo il rallentamento osservato nel periodo post crisi. Effetti positivi non hanno tardato a mostrarsi anche per l’Italia, in particolare per il nostro export (+7,8% nei primi 11 mesi del 2017).
A dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria globale, alcuni indicatori sembrano richiamare le dinamiche positive pre-crisi: crescita robusta, inflazione sotto controllo, condizioni finanziarie favorevoli, bassa volatilità dei mercati e “inversione” del ciclo delle commodity. La tenuta dell’economia mondiale a queste condizioni, tuttavia, si realizzerebbe solo in caso di una crescita moderata, né troppo forte né troppo cauta. Caratteristiche che rimandano al cosiddetto scenario da Goldilocks economy, dalla fiaba nordica dove la giovane Riccioli d’Oro afferma di preferire il porridge della giusta temperatura, né troppo caldo né troppo freddo.
È necessario, quindi non sottovalutare alcuni rischi latenti:

  • elevati livelli di indebitamento, soprattutto nei Paesi emergenti
  • volatilità dei prezzi delle commodity, che influisce sulla tenuta delle economie dei Paesi esportatori
  • instabilità politica diffusa.

 
Migliorano gli indici di rischio di credito
Osservando la Mappa di SACE è evidente un generale miglioramento del rischio di mancato pagamento. Sui 198 Paesi analizzati, sono 32 quelli che hanno migliorato la loro categoria di rischio SACE e 156 quelli che sono rimasti stabili (in totale questi rappresentano circa il 91% dell’export italiano, ovvero circa 380 miliardi di euro)[1]. Mentre le economie che hanno peggiorato la propria categoria di rischio sono 10 e rappresentano 38,5 miliardi di euro di export e pesano per il 9%.
Gli upgrade più significativi coinvolgono in particolare gli avanzati: Portogallo, Islanda, Slovenia mostrano una variazione positiva superiore alla media. Tra le geografie emergenti si segnalano gli upgrade di Egitto, Russia, Brasile, India e Argentina (quest’ultima su livelli di rischio comunque elevati). Peggiorano invece la Cina, che sconta le preoccupazioni sull’elevato livello di indebitamento, e il Sudafrica, caratterizzato da un’economia ancora stagnante e su cui pesa l’incertezza politica legata alla nomina del nuovo presidente.
Permangono elevati livelli di indebitamento. Il tanto auspicato processo di deleveraging non si è ancora messo in moto: lo stock di debito globale è continuato ad aumentare nel corso dell’anno e a settembre 2017 era pari a 233 mila miliardi di dollari (+7,4% rispetto alla fine del 2016), di cui 61 mila nei Paesi emergenti e 172 mila negli avanzati. Nonostante l’aumento in valore assoluto, la diffusa crescita economica ha contribuito alla quarta riduzione trimestrale consecutiva del rapporto debito/Pil globale, che a settembre del 2017 ha raggiunto il 318%, tre punti percentuali in meno rispetto al record storico del 2016. Dalla crisi finanziaria il debito contratto dalle imprese nei mercati emergenti è più che triplicato e, a settembre 2017, ha superato i 28 mila miliardi di dollari. Questa crescita in assenza di una congiuntura favorevole potrebbe causare difficoltà nel ripagare i debiti da parte delle imprese già indebitate, con ripercussioni sui fornitori, anche esteri, e sugli istituti bancari.
Si “inverte” il ciclo delle commodity? Il 2017 si è mostrato un anno positivo per numerose materie prime e le previsioni per l’anno in corso sono complessivamente ottimistiche. Lo si può già in parte riscontrare in un’attenuazione degli indici di rischio SACE in diversi mercati emergenti fortemente dipendenti dalle commodity. Tra questi, segnano un netto calo del rischio di mancato pagamento da controparte sovrana: Iraq, Argentina, Indonesia, Arabia Saudita, Russia, Brasile ed Emirati Arabi. Non mancano però le eccezioni come il Venezuela, ancora scosso da crisi interne, e la Mongolia. Tra i fattori principali che influenzeranno i prezzi delle commodity ci sono l’evoluzione dell’industria dello shale oil negli Stati Uniti e il ruolo sempre più rilevante della Cina come consumatore di materie prime industriali. Per quanto riguarda i prezzi del petrolio (il Brent è aumentato del 50% nella seconda metà del 2017), SACE si è dotata di un proprio scenario di prezzo per valutare la tenuta dei mercati, cercando di mitigare l’impatto delle fluttuazioni di breve periodo: le nostre attese si posizionano tra i 54 e i 62 dollari al barile per il Brent.
Attenzione ai rischi politici
Nello scenario per il 2018 evidenziato dalla Mappa anche i rischi di natura politica registrano un miglioramento a livello globale, in particolare il rischio di confisca ed esproprio (che passa da 52 a 50) e di mancato trasferimento e convertibilità (che migliora da 47 a 46). Questi miglioramenti riflettono in parte i progressi economico-finanziari dei Paesi che hanno migliorato la propria attrattività nei confronti degli investitori esteri (come Colombia e Vietnam), in parte al graduale rialzo del prezzo del greggio che ha avuto impatti positivi su alcune economie petrolifere (come Nigeria, Azerbaijan, Uzbekistan).
Il rischio di violenza politica è invece l’unica fattispecie che riporta un lieve peggioramento a livello globale, passando da 44 a 45. Non mancano zone più circoscritte dove questi rischi restano ancora critici (Afghanistan, Libia, Pakistan, Venezuela). Medio Oriente e Nord Africa (Mena) e Africa sub-sahariana restano le aree più instabili con una media di rischio rispettivamente pari a 58/100 e 56/100. Nell’area Mena, ai conflitti già esistenti (Siria, Yemen) si sono aggiunti nuovi potenziali focolai (Qatar, Libano, Iran), mentre in Africa Subsahariana l’alto potenziale di crescita del continente sconta gli effetti negativi di situazioni critiche oramai cronicizzate (Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan) e di nuove minacce terroristiche. L’apertura del ciclo elettorale in America Latina (Brasile, Colombia, Messico e Venezuela) potrebbe portare a scenari d’instabilità con l’ascesa di forze populiste.
La nuova tendenza, avviata nel 2017 e prevedibile nel corso di quest’anno, riguarda l’incremento del rischio di violenza politica in alcuni Paesi considerati “insospettabili”. Infatti, gli indicatori di rischio evidenziano un aumento degli episodi di violenza politica in Paesi non caratterizzati da conflitti sistematici, ma dove la presenza di tensioni religiose, sociali e politiche hanno prodotto il deterioramento del livello di sicurezza (è il caso delle Filippine, del Bangladesh e dell’India, ma anche dell’Armenia, dell’Azerbaijan, della Serbia e del Kosovo).

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