Il rapporto prezzo/utili di Shiller, il problema della leva cinese e “l’incuria del denominatore”

A cura di Alex Houlding, M&G Investments
Lo scorso anno Stuart ha scritto un articolo  su alcune delle sfide legate al basarsi unicamente sul rapporto prezzo/utili di Shiller (P/E di Shiller) come misura di valutazione azionaria. Questo dibattito è stato ampiamente discusso ed è in un certo senso irrilevante, dato che il mercato statunitense appare attualmente costoso in termini storici, rispetto a diversi parametri (come mi auguro che ‘questo grafico’ possa evidenziare).
Tuttavia, un documento recente della Federal Reserve Bank of San Francisco mette in luce un elemento interessante del dibattito. Oltre a fare eco alle nostre osservazioni sulla natura dei regimi, gli autori sottolineano le caratteristiche salienti del denominatore del parametro. Il P/E di Shiller prende in considerazione il prezzo corrente di un indice e lo divide per la media degli utili reali degli ultimi dieci anni.
Dieci anni fa, l’economia statunitense stava per entrare in una delle recessioni più marcate dell’era moderna, ma fra due anni gli effetti di tale recessione non compariranno quasi più nella cifra media degli utili utilizzata nel rapporto P/E di Shiller. Anche se gli utili e i prezzi reali negli Stati Uniti rimanessero invariati il prossimo anno, il rapporto P/E di Shiller dipingerebbe un mercato “più vantaggioso” per via dell’effetto della media su un periodo mobile di 10 anni (come illustrato dalla linea rossa tratteggiata nel grafico 1).

È giusto che sia così? Se lo scopo di rettificare ciclicamente gli utili è quello di offrire un quadro più chiaro del potere degli utili aziendali sostenibili, escludere gli impatti dell’ultima grave recessione non è forse ipocrita?  Dopo tutto, è plausibile ipotizzare che una crisi di qualche tipo possa verificarsi  ogni dieci anni circa.
A prescindere, tale osservazione mette in luce il fatto che quando si analizza un parametro con ruolo teoricamente esplicativo in termini di prezzo, ci possa essere la tentazione di ignorare l’altro aspetto dell’equazione. Ciò può provocare problemi quando è il denominatore a determinare in vasta misura i livelli correnti.
È anche opportuno ricordare l’impatto notevole che la crisi ha avuto sugli utili societari.

Il parametro di Shiller utilizza cifre di utili dichiarati nel grafico di sinistra, che include fattori “temporanei” quali minorazioni e svalutazioni. Queste cifre sono particolarmente negative ma persino gli utili operativi hanno subito il crollo picco-valle peggiore degli ultimi 30 anni almeno.
Ciò potrebbe ancora succedere ovviamente, e l’eventualità e le tempistiche di un possibile nuovo evento rappresentano una domanda ben più pressante circa il costo oneroso o meno delle azioni.
Ci dobbiamo chiedere se sia giusto paragonare un parametro di valutazione che includa un crollo così notevole dei profitti nel suo denominatore con periodi che non ne includono, e se dieci anni non siano forse un lasso di tempo arbitrario (in modo particolare se l’alternanza “boom-crolli” è stata sostituita con quella ‘crawl and crash’ o se le imprese all’interno di un indice presentano diverse sensibilità alle dinamiche cicliche).
L’incuria del denominatore
Più in generale, credo che questo esempio rifletta una tendenza generale a considerare in modo poco attento (o comunque con scarsa attenzione da parte della stampa) i denominatori di alcuni rapporti in finanza/economia per via delle modalità e delle ragioni per cui questi parametri vengono costruiti. Ciò richiama un concetto noto in finanza comportamentale come ‘denominator neglect’ (incuria del denominatore), in base al quale le persone giudicano erroneamente le probabilità perché prestano maggiore attenzione agli aspetti più salienti di un rapporto (ad esempio, il numero delle volte in cui si vince, scontando il numero delle volte in cui ciò non avviene).
In molti parametri, la variabile di interesse è generalmente il numeratore, mentre il denominatore aiuta a contestualizzare/confrontare le diverse istanze. Dato che il rapporto P/E di Shiller è concepito per dirci cosa avverrà al prezzo, è naturale che venga citato con una particolare attenzione rivolta all’elemento “P” e trascurando il fatto che persino un semplice rapporto prezzo/utile dipenda da un’ipotesi sottastante circa la crescita dei profitti. Se il P/E è invariato e gli utili continuassero a crescere a un tasso di lungo termine del 6%, il denaro raddoppierebbe comunque in meno di 12 anni, a prescindere dall’aspetto “costoso” di quel rapporto.
La problematica della leva cinese
Un caso attinente si può trovare nelle misure di indebitamento del tipo Debito/PIL. La Cina, ad esempio, viene considerata un Paese con un problema di debito. La leva viene comunemente citata come una probabile origine di problemi economici, e ci si chiede in modo ricorrente se essa possa sfociare (e con quali tempistiche) nel cosiddetto “atterraggio duro” per l’economia cinese.
Tali discussioni trascurano però generalmente l’alternativa al default diffuso nella risoluzione del problema di sostenibilità del debito. Se la crescita nominale supera la crescita del debito, i rapporti di leva scenderanno col tempo. Ciò si può osservare nelle cifre più recenti, dove l’aumento recente della crescita nominale cinese ha provocato una leggera stabilizzazione e un leggero declino della leva combinata di famiglie e imprese. Se questa tendenza durasse, la leva misurata inizierebbe a calare.

Non sto prevedendo che ciò succeda. Semplicemente sto dicendo che si parla poco del fatto che la situazione mostrata nel grafico precedente potrebbe col tempo normalizzarsi attraverso la crescita. Ciò viene discusso in modo decisamente più limitato rispetto alla parte del debito che preoccupa le persone, mentre dovrebbe comunque in qualche modo apparire nella distribuzione delle probabilità.
Analogamente, non possiamo considerare lo stock di debito senza considerare il tasso esigibile su di esso. Il rapporto debito/reddito di una famiglia dipingerebbe scenari ben diversi se dovesse far fronte a rate dei mutui del 25% l’anno o se dovesse fronteggiarne del 2%.
Esistono due aspetti per ogni rapporto
In parte, creiamo parametri di valutazione come strumenti volti ad apportare disciplina e a evitare la tentazione umana di farsi travolgere dall’euforia del momento. Tuttavia, è talvolta altrettanto forte la tentazione di usare questi parametri per semplificare in modo eccessivo.
A livello comportamentale, siamo portati a concentrarci sull’aspetto più saliente di un rapporto, come la “p” nel “p/e” o il debito invece del PIL. D’altronde questi sono gli elementi per i quali i rapporti sono stati dopo tutto concepiti.
Ma si tratterebbe di un’analisi incompleta. È importante ricordare che ci sono due aspetti per ogni rapporto (come anche una varietà di forze che determinano ciascuno di essi) e che concentrarsi meramente su uno dei due aspetti può essere fuorviante e potenzialmente pericoloso.

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