I mercati globali sono in salute?

A cura di James Bateman, Chief Investment Officer – Multi Asset, di Fidelity International

Negli ultimi giorni i mercati hanno fatto registrare un arretramento. Non è certo un fenomeno raro nella storia finanziaria, ma in un mondo in cui il concetto di “correzione” è quasi sconosciuto e le azioni vengono da tempo percepite come un investimento immancabilmente remunerativo, la normalità di una flessione può apparire più difficile da sopportare.
Il recente contraccolpo, in realtà, è forse il più vigoroso segnale di salute dei mercati da molto tempo a questa parte. Il rally sostenuto dal comparto tecnologico negli Stati Uniti aveva ormai portato le valutazioni oltre il limite del ragionevole, le prospettive inflazionistiche non potevano rimanere basse all’infinito e a presiedere la Fed è giunto un nuovo Presidente che dobbiamo ancora imparare a conoscere. Avremmo dovuto preoccuparci se i mercati non avessero reagito a questo scenario.
Anche dopo le recenti dinamiche, i titoli azionari statunitensi superano del 50% circa il livello raggiunto a inizio 2016. La correzione può apparire inusuale perché siamo ormai abituati a un contesto caratterizzato da volatilità ridotta con dati economici che sono rimasti costantemente positivi in tutto il mondo nel corso del 2017..

Cosa ci riserva il futuro?

Malgrado non sia da escludere una ripresa del trend precedente (trainato dal settore tecnologico), sembra più probabile che l’attuale battuta d’arresto possa servire a ridefinire la leadership di mercato.
Quali fattori potrebbero compromettere questa tesi? Il nuovo Presidente della Fed, Jerome Powell, ha il potere per cambiare le carte in tavola in più di un modo. Come sempre, il ruolo di chi guida la banca centrale è quello di muoversi sul filo del rasoio tra prudenza e sentiment. Un inasprimento eccessivo o un ritardo nell’attuazione delle misure restrittive, che farebbe pensare a una perdita di fiducia (ricordiamoci che un rialzo dei tassi a marzo è scontato pressoché con certezza), potrebbero spaventare i mercati azionari e provocare ulteriori ribassi.
Gli investitori, tuttavia, capiranno che il nuovo Presidente della Fed, Jerome Powell, è stato scelto anche in virtù del suo approccio moderato ai tassi d’interesse. Powell ha inoltre dalla sua anche altre armi oltre ai tassi. La retribuzione oraria media ha riservato sorprese al rialzo negli Stati Uniti, ma non è chiaro se ciò preluda a una tendenza di aumento sostenuto. La media mobile a 12 mesi della stessa serie appare più modesta e altri parametri della crescita salariale, come l’indice del costo del lavoro, sono a loro volta stagnanti. Questo scenario dà forza a chi condivide la posizione di Jerome Powell, il quale potrà sostenere la necessità di un aumento graduale dei tassi, escludendo così un inasprimento improvviso.
Si ravvisano segnali di debolezza in vari settori azionari, ma nessuno così rilevante da influenzare significativamente il mercato. Personalmente, continuo a puntare sulle azioni, ma optando per acquistare nei momenti di calo nelle aree “value” del mercato, che hanno segnato il passo in occasione del recente rally trainato dal momentum. Preferisco inoltre evitare i titoli azionari con dividend yield che non sono supportati da robusti flussi di cassa disponibili e da bilanci solidi: la ricerca di rendimento non si è infatti limitata a gonfiare i titoli più redditizi, ma in alcune società ha comportato una fondamentale alterazione in senso negativo del modello di business. Ciò dimostra una volta di più quanto sia importante la gestione attiva nelle ultime fasi del ciclo economico. Mantenere la rotta quando la volatilità diminuisce può non sembrare facile, ma per guadagnare nello stadio attuale del ciclo è necessario tenere la testa salda sulle spalle quando gli altri invece la perdono.

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