Hedge, regolamentazione & confusione

L’importante è fare qualcosa. Al prossimo incontro dei grandi 20 della terra un tema è ormai chiaro: quello della necessità di regolare fondi hedge e società di private equity, visti da molti come uno dei settori più ‘pericolosi’ del sistema.

Ora, che gli hedge abbiano bisogno di una qualche forma di inquadramento è sicuramente una proposta utile ma da qui a cercare una regolamentazione (o un freno?) all’unica industria che negli ultimi anni ha raccolto soldi senza sapere cosa o chi regolamentare suona abbastanza ridicolo.

Andiamo con ordine. In Inghilterra, dove sono custodite il 60% delle masse totali gestite dai fondi hedge in Europa, i gestori sono tutti iscritti in un elenco tenuto dalla FSA, la Consob britannica.

Molti di questi fondi, in aggiunta, sono quotati sulla borsa alternativa inglese (AIM) quindi soggetti ad un livello di disclosure maggiore e paragonabile a quella di piccole e medie aziende quotate (bilanci trimestrali, obbligo di comunicare i soci rilevanti, eventuali operazioni sul capitale, ecc).

Sembra però che questo non basti e la Commissione Europea vorrebbe accrescere il numero di informazioni disponibili e magari imporre un sorta di capitale minimo cui i fondi devono attenersi.

Anche la IOSCO in questi mesi ha detto la sua sull’argomento, e proprio la scorsa settimana si è pronunciata dicendo che la registrazione e la supervisione dei fondi hedge potrebbe ridurre il rischio sui mercati finanziari. Sempre su questa linea l‘Organization of Securities Commission ha presentato quattro punti fondamentali per la regolamentazione dello short selling, pratica centenaria che negli ultimi tempi sembra aver spinto verso il precipizio alcuni grandi gruppi bancari, soprattutto inglesi.

Questo ovviamente non è bene, quindi lo short selling va rivisto. Come? Non si sa. Basta ricordare il balletto delle Consob di tutto il mondo, che negli ultimi mesi, in ordine sparso, hanno frenato le vendite allo scoperto su questo o quel settore o magari vietandole del tutto.

Differente ancora l’atteggiamento di Charles McCreevy, commissario per i mercati alla EU, secondo cui hedge e private equity necessitano di regolamentazione ma diversa per i due soggetti. Come? non si sa.

Curioso notare l’atteggiamento di McCreevy secondo il quale una volta gli hedge sono utili ai mercati perché portano liquidità, la volta dopo sono destabilizzanti per l’ordine finanziario mondiale.

Anche Paul Volcker (nella foto), consulente speciale di Obama ed ex presidente della Federal Reserve dal 1979 al 1987 (sotto l’amministrazione Carter prima e Reagan poi) sostiene che un ente di controllo comune potrebbe limitare l’uso del leverage e monitorare la liquidità dei fondi.

Insomma tanta carne al fuoco ma idee poche. Secondo il parere di chi scrive la lacuna più macroscopica che l’industria hedge deve colmare è quella della registrazione dei fondi.

Oggi infatti il 70% dei fondi sono domiciliati offshore (Cayman e BVI la fanno da padrone) godendo di indubbi vantaggi normativi e di regolamentazione.  Non solo, anche i proventi generati dai fondi godono di vantaggi considerevoli se paragonati ai ‘poveri’ fondi comuni che al massimo possono trovare ospitalità in Irlanda o Lussemburgo.

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