La risalita dei rendimenti spaventa le Borse

A cura di Banca del Piemonte

Se solo qualche giorno fa si celebrava il miglior inizio anno da decenni e la serie di mesi positivi per l’indice S&P portatasi a uno storico 15 (con gennaio appena concluso il migliore della serie), si assiste ora ad una fase di altissima volatilità degli indici S&P 500 e Euro Stoxx 50 che in brevissimo tempo ha determinato un azzeramento dei guadagni e addirittura un incremento delle perdite da inizio anno in area -3%/-4%. Questo movimento ha una violenza paragonabile (nell’accelerazione delle ultime 24 ore anche superiore) a quello dell’agosto 2015 coincisa con la svalutazione del Renmimbi e accompagnata dai timori sulla stabilità finanziaria cinese. Ora, invece, il tema che sta aleggiando tra gli investitori è quello dell’eventuale risveglio dell’inflazione con le sue implicazioni a livello di proattività delle banche centrali e di struttura delle curve dei rendimenti. La crescita delle retribuzioni orarie, un dato seguito con attenzione dal mercato e dalla FED per gli indizi che offre sulle pressioni inflazionistiche, ha segnato infatti a gennaio un +2.9% annuo che va ben oltre il +2.6% delle stime di mercato. La correzione violenta, ma forse anche salutare, si è poi trasformata in uno di quei crash che, per la sua velocità e accelerazione, rimangono negli annali. Infatti i rendimenti sono scesi violentemente come nel più classico risk-off (e non saliti insieme alla discesa dei corsi azionari come era successo la settimana scorsa).

Il risveglio della volatilità azionaria

La reazione di mercato sta avendo indubbiamente una natura tecnica (andata oltre la paura di tassi più alti in futuro), legata a un brutale risveglio della volatilità azionaria. La diffusione sul mercato di strumenti che si basano su scommesse ribassiste della volatilità (la cui compressione su livelli estremi ha fornito performance generosissime negli ultimi mesi) ha reso molto più vulnerabile il sistema alla prima vera scossa negativa (partita dal rialzo dei tassi e sfociata nella prima fase correttiva). E’ la prima volta che il mercato si trova ad affrontare un problema di questa portata, al differenza del passato dove gli shock hanno sempre avuto un’origine in eventi macro e/o geopolitici. Questo risk-off ha quindi un’origine ben individuabile, praticamente isolata, nel mondo equity e specificamente nella volatilità azionaria. Poi si è trasformato in un risk-off classico con tutti i risky asset coinvolti. Al momento tuttavia le conseguenze su asset class come crediti high-yield e emerging markets (tipicamente con una correlazione alta al mondo azionario, specialmente in queste fasi) sono assai limitate e il contagio seppur minimo appare una pura conseguenza della potenza del movimento sull’equity.

Necessario un cambio di mentalità

Entrando in un terreno inesplorato come questo, è arduo fare qualsiasi previsione. In un’ottica di Asset Allocation con un orizzonte di medio periodo la prima tentazione è quella di sfruttare questi cali per aggiungere esposizione azionaria. Inoltre da qui in avanti si potrebbe sfruttare qualsiasi discesa dei rendimenti, associata alle fasi di maggior panico, per ridurre la duration dei portafogli e spostare il focus su strumenti a tasso variabile o legati all’inclinazione della struttura dei tassi. La robustezza della ripresa economica in atto potrà fornire sicuramente un notevole supporto agli attacchi di volatilità (e di panico) dei mercati; la vera sfida per mercati e gli investitori nei prossimi mesi sarà quella della gestione del passaggio da una mentalità deflattiva (derivante da anni di inflazione persistentemente bassa) con bassi premi al rischio (derivanti da anni di Quantitative Easing) a una inflattiva. La transizione verso un mondo con salari più alti e con una presenza delle Banche Centrali sempre più defilata (riduzione dei vari QE o dei bilanci) sarà difficile da gestire sia per gli investitori che per i mercati.

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