Le ragioni di cautela sui mercati obbligazionari

A cura di Tim Haywood, responsabile delle strategie obbligazionarie Absolute Return di GAM
Sono otto le ragioni per cui crediamo che si debba essere cauti nell’ambito degli investimenti obbligazionari.
Il primo elemento è l’inflazione, che si sta lentamente facendo strada. Nel corso dell’ultima decade la deflazione o assenza di inflazione è stato il tema dominante. Ora, con la ripresa economica che sta interessando diversi Paesi chiave, i prezzi dell’energia e dei metalli sono in crescita e il numero di lavoratori qualificati disponibili è in diminuzione in tutto il mondo. A ogni piccolo aumento dell’inflazione attesa corrisponde un aumento significativo dei rendimenti obbligazionari. Acquistare titoli indicizzati all’inflazione, i cui prezzi potrebbero essere influenzati dal livello dei rendimenti nominali, dall’inflazione e da fattori relativi a domanda e offerta potrebbe non essere una soluzione. Ciò che si guadagna prevedendo un rialzo dell’inflazione, infatti, potrebbe essere meno di quanto perso dall’aumento dei rendimenti convenzionali.
In secondo luogo, i tassi delle Banche centrali hanno cominciato a muoversi verso l’alto, portando con sé i rendimenti di buona parte del mondo sviluppato, in primis America del Nord. Dopo anni di tagli ai tassi di interesse la maggior parte delle Banche centrali hanno raggiunto un punto di minimo. I venti favorevoli di cui hanno beneficiato per buona parte degli ultimi trent’anni i mercati obbligazionari potrebbero venire meno.
A questo si aggiunge la riduzione degli acquisti straordinari messi in atto dalle Banche centrali, che in certi casi si sono fermati o addirittura invertiti. Un sell-off ha interessato i Treasury USA, in parte a causa del passaggio di uno dei principali compratori al ruolo di venditore. La prospettiva di tagli degli acquisti da parte della BCE ha spinto verso l’alto i rendimenti dei titoli di Stato europei; Il QE della Bce è stato immenso rispetto all’emissione netta delle obbligazioni e, sempre in base a questo parametro, vasto rispetto alle dimensioni dell’omologo programma statunitense.
Il quarto punto è il rendimento dei bond ad alta qualità, piuttosto basso. Ci sono infatti titoli per un valore pari a diverse centinaia di miliardi che continuano a offrire rendimenti alla scadenza negativi. Anche in caso questi risultino positivi, si tratta comunque di un valore ridotto rispetto agli ultimi cinquant’anni. Il margine di sicurezza per questi asset è minimo – se non pari a zero. Dato che le obbligazioni hanno un prezzo alla scadenza dato, tenere bond dal rendimento negativo fino al termine è una garanzia di perdita in termini nominali, di perdere di più in presenza di inflazione e di perdere ancora di più in caso di default.
Una risposta tipica a queste quattro criticità è scegliere un posizionamento short sui bond (optare per una short duration, nel linguaggio del mercato) o comprare fondi che a loro volta fanno short duration. Questa pratica potrebbe essere, per i bond a rendimenti negativi, più economica che mai rispetto al passato, e in un contesto di curve dei rendimenti piatte i costi che si sviluppano nel tempo sono minimi.
Tre aspetti che potrebbero non funzionare nel 2018.  Tre tecniche tradizionali per generare maggior valore sono diventate meno interessanti. Acquistare debito a lunga scadenza offre un extra rendimento bassissimo su scala storica, che si tratti dei Treasury o del segmento delle obbligazioni societarie e delle emissioni finanziarie. In alcune parti d’Europa le curve sono in qualche modo ripide ma i rendimenti sono insolitamente bassi, sia in Germania, dove l’economia è florida ma i rendimenti sono negativi, sia in Ungheria, dove i rendimenti intermedi sono scesi al di sotto dell’1%. Questi rendimenti dovrebbero risalire nel 2018.
I mercati del credito sono nella fase più stretta in cui si sono trovati dalla crisi finanziaria. L’attività di acquisizioni e fusioni mostra che i rendimenti dovrebbero essere più alti. Gli spread sugli indici obbligazionari europei sono al di sotto dei 40 punti base per il segmento dell’investment grade e al di sotto dei 220 per i crossover (la via di mezzo tra investment grade e alto rendimento); questi coprono a stento il costo delle perdite attese per default. Dato che coloro che investono in Treasury si rendono conto che i rendimenti globale (dati dalla somma di governativo e spread di credito) è improbabile vadano ancora più in basso, l’emissione obbligazionaria cresce a vista d’occhio. Con l’inizio del tapering quantitativo e il diminuire degli acquisti di fondi obbligazionari, la domanda potrebbe fare fatica vista la portata dell’offerta. Ne potrebbe derivare uno stop degli acquisti obbligazionari: nel corso degli ultimi tre mesi la contrazione degli spread si è fermata.
Se dunque l’acquisto di debito a lunga scadenza o di credito tradizionale non esercita appeal, allora lo swing del mercato del trading potrebbe rimanere un’opzione per gli investitori attivi. Nel 2017, l’incremento della volatilità in molte aree dell’universo di investimento era difficile da rintracciare – alcuni prezzi sono cresciuti in maniera stabile durante l’anno senza particolari intoppi. L’investimento lungo passivo è apparso interessante. Se i prezzi continuassero a girare ancora di più, e soprattutto se calassero, lo stile di investimento attivo rappresenterebbe una volta ancora una soluzione valida. Nel frattempo, il valore delle opzioni i cui prezzi sono influenzati dalle attese di volatilità e di tassi di interesse potrebbero aumentare, dato che entrambi i fattori saranno in salita quest’anno. L’acquisto di opzioni, e non la vendita, rappresenta una strategia più prudente quando i mercati sono anestetizzati e diventano costosi (dove dovrebbero brillare le opzioni put).
C’è infine da considerare il competitor numero uno dei bond, ossia l’equity. Nel corso del 2017 l’azionario ha battuto nuovamente l’obbligazionario – negli Stati Uniti, in termini di rendimenti totali, quasi del 20%. È il sesto anno consecutivo in cui ciò si verifica. In coda troviamo i bond tedeschi, che hanno cominciato l’anno con rendimenti tra i meno interessanti e hanno finito nella stessa situazione; nonostante questo, il DAX ha registrato il 12% in termini locali. Nei principali mercati Emergenti, spinti generalmente da valute più forti, diverse aree dell’obbligazionario hanno fatto bene, anche se spesso l’azionario ha fatto meglio.
L’outlook di crescita per i prossimi trimestri è positivo e sufficientemente robusto da contribuire alla crescita degli utili societari in diversi settori nonostante il crescere dei salari e dei prezzi delle materie prime. I dividendi rimangono più interessanti dei rendimenti dei bond emessi dalle stesse società. Detto questo, i dati relativi al credito restano quanto meno adeguati, che si mantiene leggero rispetto ai covenant, ridotto in coupon e di natura di lungo periodo.
I default dovrebbero essere pochi nel corso del 2018. Se non fosse per le valutazioni elevate dell’azionario e il tempo trascorso dall’ultimo declino significativo, la “mania per l’azionario” sarebbe molto più consistente. Le convertibili tendono a performare meglio dei bond high yield in periodi di tassi di interesse in crescita. Le politiche sui tassi di interesse stanno virando verso politiche più restrittive in Nord America e nel Regno Unito.
Dopo anni di tagli dei tassi, la maggior parte delle Banche centrali hanno raggiunto il minimo. Nel caso dell’Europa e del Giappone, qualsivoglia cambio di politica potrebbe essere molto lento ad arrivare. Ma rimuovere le misure di emergenza più aggressive, per riportare i tassi di interesse a breve termine a zero o in territorio positivo, non sarebbe così contradditorio come rimuovere le distorsioni.
Il 2018 potrebbe determinare particolare debolezza nei prezzi delle obbligazioni a cinque anni di questi Paesi. In senso più ampio, i mercati obbligazionari stanno perdendo la spinta delle politiche dei tassi in calo di cui hanno beneficiato, in un paese o in un altro, per circa 30 anni.

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