Private Equity, Blackstone dice no alla SEC

Quando si quotò in borsa nel marzo del 2007 Blackstone Group era il più grande, potente e segreto fondo di private equity del mondo.

Nel giorno della Ipo (che vide una ricca partecipazione del Governo cinese) la società fondata nel 1985 da Peter Peterson e Stephen Schwarzman, ha visto balzare le proprie azioni ad oltre 36 dollari per azione, quasi il 20% in più del prezzo di collocamento (31 dollari per azione).

Tanto entusiasmo da parte degli operatori era giustificato dal momento d’oro che i mega fondi di leverage buyout stavano vivendo, una luna di miele finita con l’inizio della crisi di metà agosto 2007. Ma se gli investitori avessero letto bene il prospetto informativo della quotazione in borsa, si sarebbero subito accorti che Blackstone non era una società come tutte le altre ne aveva nessuna intenzione di cedere potere e informazioni al mercato.

Basta leggere le prime tre righe del file depositato presso la Sec per provare un certo senso di ‘disagio’:

    Our corporate private equity and real estate businesses have benefited from high levels of activity in the last few years. These activity levels may continue, but could decline at any time because of factors we cannot control.

    While the long-term growth trends in our businesses are favorable, there may be significant fluctuations in our financial results from quarter to quarter. Our common units should only be purchased by investors who expect to remain unitholders for a number of years.

    We intend to continue to follow the management approach that has served us well as a private firm of focusing on making the right decisions about purchasing and selling the right assets at the right time and at the right prices, without regard to how those decisions affect our financial results in any given quarter.

Oggi Laurence Tosi, CFO del gruppo, si è rifiutato di pubblicare (come richiesto dalla SEC) le performance dettagliate dell’andamento dei fondi gestiti dalla società.

La Consob statunitense aveva semplicemente chiesto a Blackstone e all’altra società quotata di private equity, Fortress Investment Group, di includere nelle trimestrali l’elenco dei fondi gestiti, la data di lancio degli stessi, il patrimonio e il rendimento netto del periodo.

Insomma informazioni basiche per chi di lavoro raccoglie denaro per poi vendere performance, a prescindere che queste vengano create speculando sul mercato azionario o comprando intere catene alberghiere (Blackstone nel 2008 ha comprato il gruppo Hilton per 26 miliardi di dollari).

Nella foto a fianco l’hotel Hilton a Barbados

Ora dato che nel caso di private equity e fondi hedge  gli asset che compongono l’attivo sono spesso ‘illiquidi’ sarebbe interessante sapere come e quando verranno generato le performance. Se in aggiunta, come nel caso di Blackstone, si gestiscono 91 miliardi di dollari in asset generatori di commissioni, di cui 25,5 miliardi in private equity, 22,9 miliardi in fondi immobiliari e 42,9 miliardi in fondi hedge, la domanda sembra quasi retorica.

Di parere completamente diverso è Tosi di Blackstone, secondo il quale l’attuale regolamentazione non obbliga a pubblicare questo genere di informazioni ne tanto meno sarebbero rappresentativa dei risultati operativi della società: “I tassi di rendimento individuali (dei fondi ndr) non hanno un impatto diretto sui risultati finanziari e non si capisce l’importanza che potrebbero avere per i nostri investitori”.

Sfortunatamente per il direttore finanziario di Blackstone, Fortress Investment Group (altro colosso degli investimenti in private equity e fondi hedge) ha deciso di acconsentire alla pubblicazione di alcuni dati sulle performance dei propri fondi di private equity, di fatto smentendo quanto detto dal gruppo di Schwarzman.

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