Parole, parole, parole….

A cura di Fabrizio Quirighetti, CIO Co-Head of Multi-Asset Syz Asset Management
Il prossimo 4 marzo si terranno le elezioni legislative italiane, che permetteranno di scegliere i 315 membri del Senato e i 620 della Camera dei deputati. Saranno l’ultima tappa di un calendario politico europeo relativamente pieno, già iniziato lo scorso anno con le elezioni nei Paesi Bassi, in un contesto molto più incerto tanto sul piano politico quanto su quello economico. Anche la Francia, la Germania e l’Austria sono passate per lo scrutinio.
Se il sole sembra splendere sulle prospettive economiche, l’esito del voto italiano resta sfortunatamente molto difficile da prevedere a causa di una legge elettorale che verrà utilizzata per la prima volta e dei sondaggi, la cui credibilità è stata messa a dura prova dalla  Brexit. Nei prossimi paragrafi cercheremo di chiarire al lettore le questioni legate alle elezioni italiane, di valutare le forze in gioco, di comprendere se alcuni risultati potrebbero disequilibrare, o al contrario rafforzare, l’architettura europea e, infine, spiegheremo quali potrebbero essere le conseguenze sui mercati finanziari.
Un risultato molto incerto E sotto molti punti di vista. Prima di tutto perché i sondaggi non fanno emergere una netta maggioranza tra i grandi partiti: il Partito Democratico (PD) di Matteo Renzi, la cui popolarità non smette di calare (secondo le stime si attesterebbe al 25%), il Movimento 5 stelle (M5S) fondato da Beppe Grillo che dovrebbe ottenere il 30% delle preferenze, e una coalizione di centrodestra costituita da Forza Italia (FI, Silvio  Berlusconi), Lega Nord (LN, Matteo Salvini) e Fratelli d’Italia (FdI, Giorgia Meloni) a circa il 35% del totale. In secondo luogo, perché queste elezioni saranno regolate da una nuova legge elettorale adottata alla fine dello scorso anno, nota con il nome di Rosatellum bis. Si tratta di un sistema relativamente complesso che dovrebbe far emergere una maggioranza capace di governare, a livello del singolo partito o almeno della coalizione, a condizione che il partito si distacchi nettamente dagli altri (una sorta di premio di maggioranza).
— Circa il 36% dei seggi è assegnato con scrutinio uninominale maggioritario a turno unico (232 membri della Camera dei deputati e 116 del Senato)
— Il resto dei seggi, cioè circa i 2/3, è assegnato con un sistema proporzionale, applicando una soglia di sbarramento del 3% per i partiti e del 10% per le coalizioni.

La principale conseguenza sarà quindi una sovra rappresentazione delle coalizioni e una sotto rappresentazione dei piccoli partiti. Per ottenere la maggioranza nel nuovo parlamento, una coalizione dovrà ottenere almeno il 40% dei voti nazionali e circa il 70% delle circoscrizioni (al turno unico). Se si passano in esame le possibili coalizioni e scenari, sembra quindi impossibile, nonostante il nuovo sistema elettorale, ottenere una  maggioranza sufficientemente forte poiché dovremmo assistere a un testa a testa tra il M5S e la coalizione di centrodestra formata da LN e FI, entrambi a circa il 30%, seguiti dal PD al 25%.
Tuttavia, la coalizione di centrodestra ha le maggiori chance di avvicinarsi alla maggioranza nel nuovo parlamento poiché dovrebbe ottenere il 35% delle preferenze contro il 25-30% per il M5S, il 25-30% per la coalizione di centrosinistra (PD + alcuni piccoli partiti) e il 5-10% per l’estrema sinistra (Liberi e Uguali, LeU). Possibili scenari e conseguenze per i  mercati.
Iniziamo subito con le buone notizie: una vittoria di Luigi di Maio, il candidato designato dal Movimento 5 stelle, che sarebbe certamente il peggior scenario possibile per i mercati azionari, le obbligazioni italiane e la moneta unica (data la sua posizione ambigua nei confronti dell’Unione Europea), sembra essere altamente improbabile. Infatti, né il suo partito né gli altri partiti intendono formare un’alleanza comune. A di Maio non solo mancherebbero il 7-10% dei voti nazionali, ma anche le circoscrizioni, in quanto il centrodestra dovrebbe aggiudicarsene la maggior parte. In questo caso, anche con una  vittoria del M5S, un governo minoritario guidato da loro non ha molte possibilità di vedere la luce poiché l’attuale sistema elettorale favorisce le coalizioni, spingendo il Presidente della Repubblica a dare mandato a un rappresentante della prima coalizione (centrodestra) piuttosto che a  primo partito. Si può anche escludere l’ipotesi di un governo anti-establishment (M5S, FI e LN): anche se teoricamente possibile visti i risultati attesi per ogni partito, in pratica i dissensi sono troppo importanti e un tale avvicinamento porterebbe a una perdita del sostegno popolare, in quanto andrebbe contro ai principi e al successo del M5S, che si definisce “né di destra né di sinistra”.
Un governo di centrodestra. Secondo gli ultimi sondaggi, questa coalizione è vicina alla maggioranza (mancherebbero solo 20-50 seggi). Nel caso in cui lo scarto fosse minore di 20 seggi potrebbe accogliere alcuni parlamentari “centristi” dell’ala sinistra o alcuni disertori di altri partiti minori. Questa “piccola” maggioranza sarebbe certamente accolta con un rialzo delle azioni italiane, o in ogni caso con una sovraperformance rispetto agli altri mercati europei, una diminuzione dello spread tra le obbligazioni italiane e quelle tedesche e un leggero Il colore di ogni linea indica un partito politico: rafforzamento dell’euro a breve termine, poiché con una maggioranza così scarsa l’instabilità regnerebbe. Essa avrebbe come conseguenza di allontanare le incertezze legate a nuove elezioni tra 6 o 12 mesi. Tuttavia, al di là dell’impatto positivo della notizia a breve termine, non dovrebbero esserci effetti troppo marcati e duraturi in quanto una nuova incertezza tornerebbe a galla molto rapidamente, quella della nomina del Premier all’interno di questa coalizione di  centrodestra.
Silvio Berlusconi non può rivestire l’incarico a causa dell’ineleggibilità provocata dai suoi precedenti penali, ma è lui a reggere le fila del suo partito, mentre Matteo Salvini e la Lega Nord aspirano a ricoprire il ruolo. La lotta interna rischia di essere lunga e aspra e potrebbe creare dissensi. Anche questo accordo, non molto stabile, potrebbe avere vita breve. Si noti che se l’accesso di Salvini al vertice del governo cancellerebbe certamente la prima reazione  positiva dei mercati, una nomina all’interno di Forza Italia non garantirebbe comunque una reazione entusiasta degli investitori. Soprattutto che l’attuale Premier Paolo Gentiloni, che assicurerà la transizione durante i negoziati, gode di una buona reputazione tra gli investitori.
Una “breve” sconfitta non cambierebbe nulla allo scenario descritto sopra, con una sola differenza: una reazione meno viva del mercato a breve termine, ma meno volatile a medio  termine in ragione del proseguimento del mandato del Primo ministro attuale e meno giochi di lotte e alleanze all’interno della coalizione di centrodestra.
Un governo formato da una grande coalizione di centro. Si tratta di una possibilità da prendere in considerazione qualora i partiti e le coalizioni non si distanzino nettamente. Sui mercati, si dovrebbe prima assistere a una leggera reazione negativa all’apertura, ma senza panico, poiché Gentiloni continuerà a ricoprire l’incarico di Premier e, alla fine, se i  partiti di centrodestra e di centrosinistra unissero le loro forze, sarebbe certamente il migliore scenario possibile. Si assisterebbe a un abbandono o a un’emarginazione dei partiti di estrema destra, e in minore misura di estrema sinistra, una ventata di speranza come per  la vittoria di Macron in Francia. Ma anche in questo caso sarà necessario recuperare  qualche parlamentare per assicurarsi la maggioranza. E ancora una volta, una coalizione ampia non è per forza sinonimo di forza e unità…
Per il momento la coalizione di centrodestra sembra l’ipotesi più probabile, ma l’eventualità di questa grande coalizione di centro potrebbe rapidamente tornare d’attualità se i risultati dei partiti di estrema destra dovessero rivelarsi più deboli del previsto.
Nuove elezioni. Se non fosse possibile formare un governo nei prossimi mesi, ci saranno delle nuove elezioni tra 6-12 mesi, seguendo l’esempio della Spagna nel 2015-2016. Vi sarà un impatto negativo, ma non durerà. Il progetto di bilancio subirà un contraccolpo. Ma in fin dei conti, sarebbe davvero un’enorme sorpresa venire a sapere che l’Italia, che ha visto 62 governi dalla fine della Seconda guerra mondiale, non è realmente governata per qualche mese? Il Belgio o la Spagna, che hanno vissuto situazioni simili, sono stati davvero penalizzati? A volte non è meglio non essere governati affatto, piuttosto che essere  governati male?
Ovviamente l’Italia non è un’economia qualunque nell’eurozona, ha bisogno più degli altri grandi paesi dell’eurozona di riforme strutturali per tentare di  ridurre il più rapidamente possibile il suo pericoloso cocktail di crescita debole e debito pubblico alle stelle. Ma gli italiani non sono stupidi dal momento che i peggiori scenari per l’esplosione del deficit, cioè una vittoria unilaterale della Lega Nord, di Liberi e Uguali e del Movimento 5 stelle, ad oggi non sono plausibili. Per il resto, il programma del PD non propone variazioni a livello della politica fiscale, mentre l’impatto di quello di Forza Italia resta difficile da valutare (promesse di importanti riduzioni delle tasse e di aumento delle pensioni, ma volontà o piuttosto desiderio di portare il disavanzo primario al 4% per ridurre il coefficiente del debito pubblico al 110% entro cinque anni). Parole, parole, parole…
Si può sempre sognare, ma gli italiani non danno molto credito all’attuazione di tali misure. A meno che un giorno non si assista a un completo rinnovamento della politica italiana come è successo in Francia.

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