Pir: gli effetti su domanda e offerta di capitale

Intermonte – investment bank indipendente, specializzata in intermediazione istituzionale, ricerca, capital markets ed advisory sul mercato italiano – ha presentato oggi lo studio “I Piani Individuali di Risparmio (PIR): gli effetti su domanda e offerta di capitale nel mercato borsistico italiano”, condotto grazie alla collaborazione ormai pluriennale con il Politecnico di Milano (Dipartimento di Ingegneria Gestionale).

L’analisi ha esaminato, a un anno dall’introduzione dei Piani Individuali di Risparmio, il loro impatto sul listino azionario italiano ed in particolare sui prezzi e rendimenti dei titoli quotati, sui volumi scambiati, sulla liquidità dell’intero mercato, sullo stimolo al mercato primario tramite nuove IPO e sull’eventuale ricorso a forme alternative di raccolta di capitale per le imprese (con particolare attenzione alle conseguenze sui titoli che non appartengono all’indice FTSE MIB, in cui deve essere investito almeno il 21% delle risorse a disposizione dei PIR).

In linea generale, l’introduzione dei PIR ha consentito di mobilitare, nel solo primo anno, circa 10,9 miliardi di euro (secondo i dati di Assogestioni), dando così ulteriore linfa al risparmio gestito in Italia. Secondo le stime di Intermonte SIM, l’industria dei PIR potrebbe raccogliere risorse per 60,1 miliardi dieuro entro il 2021, di cui 11,5 miliardi specificatamente a vantaggio delle mid-small cap quotate.

Di seguito, le principali evidenze emerse dalla ricerca:
Effetto sui prezzi e rendimenti: è vero che i PIR hanno indotto un aum ento dei prezzi sul mercato azio nario? Si in valore assoluto, e si evince che:nel 2017 le small cap italia ne hanno performato tanto quanto le loro ‘gemelle’ in Francia e in Germania (se non peggio, soprattutto a fine anno);sono andate comparativamente meglio le mid cap e soprattutto il segmento STAR; l’AIM Italia ha offerto rendimenti in media positivi ma meno accentuati;

Se si considerano poi fattori specifici, come il rapporto M/B e la capitalizzazione di mercato, per isolare l’effetto PIR, si nota nel 2017:un rendimento ‘anomalo’ medio significativo compreso fra il 12% e il 18%, per i titoli non compresi nel FTSE MIB;un’ottima performance anomala del segmento STAR (già dal 2016);i titoli quotati sull’AIM hanno reagito allo s timolo dei PIR con un ce r to ritardo, solo a partire da maggio 2017;non v i è invece alcun impatto ‘anomalo’ significativo sulle blue chip.

Effetto sui volumi: è vero che i PIR hanno generato un aumento degli scambi?
Sì, ma con un certo effetto di cannibalizzazione sui titoli del FTSE MIB a vantaggio degli altri titoli, soprattutto quelli dell’AIM Italia. L’analisi stima un calo medio dell’8% per i volumi di scambio dei titoli FTSE MIB e un aumento del 71% per gli altri titoli, con elevata variabilità. Il controvalore totale degli scambi registrati nel 2017 non è significativamente diverso rispetto a quello del 2016.
Su Aim la media mensile degli scambi nel 2016 era 27 milioni e 165 milioni di eur o nel 2017, ossia più di sei volte tanto; anche lo STAR passa da 977 milioni a 1.775 milioni, raddoppiando i suoi scambi;
a fine 2016 la capitalizzazione dell’intero listino dedicato alle medie e piccole imprese era pari a meno di 2,9 miliardi; un anno dopo valeva quasi il doppio.
Effetto sulla liquidità: è vero che i PIR hanno migliorato la liquidità del mercato?
Il flusso degli acquisti ha sicuramente contribuito a migliorare la liquidità dell’intero mercato, grazie alla mobilitazione delle risorse a disposizione dei fondi PIR-compliant. Secondo dati Banca d’Italia (Conti Finanziari, statistiche Banca d’Italia, gennaio 2018), nei primi 9 mesi del 2017 il totale degli attivi di proprietà delle famiglie italiane investiti in fondi comuni è passato da 474 miliardi a 517 miliardi, mentre l’investimento diretto in azioni quotate è aumentato meno, (da 53 miliardi a 67 miliardi, a spese degli investimenti in obbligazioni e dei conti deposito).

Si può affermare che l’effetto positivo sulla liquidità: si tratta comunque di un fenomeno indotto e generalizzato per  tutti i titoli, non solo per quelli esclusi dal FTSE MIB; è stato legato soprattutto all’aumento generalizzato  della capitalizzazione del mercato, in particolare degli indici STAR e mid cap, e all’aumento degli scambi (in particolare sull’AIM Italia) che hanno ridotto il bid-ask spread.

Stimolo a nuove Ipo: è vero che i PIR hanno veramente canalizzato nuove risorse verso le piccole e medie imprese? In un solo anno di tempo è stato il mercato secondario a beneficiare quasi del tutto della raccolta PIR; il mercato primario non sembra per ora esserne stato influenzato.
Osservando l’aumento del numero di imprese iscritte al programma Elite di Borsa Italiana (437 a fine anno contro le 290 di inizio anno) ed il capitale raccolto ‘sulla fiducia’ dalle SPAC, siamo fiduciosi sul fatto che i frutti si osserveranno nel medio termine. Il credito d’imposta concesso sui costi di quotazione delle PMI è inoltre un buon incentivo a sostegno dei PIR e di un possibile nuovo flusso di titoli che andrà a incrementare l’offerta disponibile (condizione importante per non creare pressioni anomale sui prezzi, in particolare su AIM Italia).

Venendo ai dati:sul listino principale si sono registrate otto Ipo i n tutto il 2017;sull’AIM Italia c’è stato un timido aumento del numero di nuove quotazioni nel 2017 (23 in totale, di cui 16 nell’ultimo semestre); il che ha generato un buon incremento del controvalore collocato in Borsa (soprattutto griazie alle SPAC: ben 7 sull’AIM Italia e 1 sul listino principale negli ultimi 12 mesi, per una raccolta totale di € 1.433 milioni).

Stimolo a forme alternative di raccolta di capitale: è vero che i PIR hanno favorito forme alternative di raccolta di capitale per le imprese? I dati mostrano che nessuna delle forme innovative di finanziamento per le imprese, dedicate in particolare alle PMI (ossia private equity e venture capital, mini-bond, crowdfunding e P2P lending) è stata impattata nel corso del 2017 dal fenomeno dei PIR. Tecnicamente sono tutti strumenti finanziari compatibili con i PIR (per quella parte dell’investimento, il 21%, che non deve riguardare titoli azionari del FTSE MIB), ma rimangono canali di finanziamento alternativi presidiati, per ora, da attori molto diversi rispetto a quelli che gestiscono i fondi PIR-compliant. Il buon andamento del mercato borsistico ha finora privilegiato le azioni nelle scelte di investimento dei PIR. Per apprezzarne ugualmente gli effetti su altre asset class, occorre ingegnerizzare nuovi prodotti e portafogli in grado di investire anche in titoli illiquidi, quali i mini-bond e l’equity di PMI non quotate.
Al 31.12 2017 i fondi PIR-compliant operativi in Italia o pronti alla partenza erano circa 70 con un flusso di sottoscrizioni che ha toccato un massimo nel secondo trimestre e un buon recupero a fine anno. Con l’eccezione di alcuni ETF, quasi tutti i fondi nati sono a gestione attiva (distinti prevalentemente in fondi azionari e fondi bilanciati, quasi equivalenti per numerosità, mentre quelli obbligazionari sono ancora pochi). Oltre a questi, completano il quadro altri circa trenta prodotti assicurativi ‘PIR-compliant’ disponibili sul mercato, offerti da diverse compagnie assicurative (distinti fra polizze unit linked e prodotti assicurativi multi-ramo).

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