Lo stile di comunicazione di Powell ha più impatto sui mercati

A cura di Jack McIntyre, portfolio manager di Brandywine Global
La Federal Reserve (Fed) non ha deluso le aspettative al suo meeting del 21 marzo, effettuando un restringimento monetario di altri 25 punti base. Una mossa largamente attesa, che segna il sesto (ma di certo non ultimo) rialzo dei tassi nell’attuale ciclo di tightening. La novità più importante nelle dichiarazioni della Fed riguarda l’inflazione: l’orizzonte temporale per raggiungere l’obiettivo del 2% viene infatti avvicinato. In questo meeting del FOMC il raggiungimento del 2% di inflazione si sposta da “quest’anno” a “nei prossimi mesi”, in particolare a causa delle proiezioni riguardo un’ulteriore calo della disoccupazione.
Nonostante ciò, il dot plot della Fed non rispecchia questo cambiamento riguardo l’obiettivo di inflazione. Le speculazioni sul dot plot che hanno preceduto questo meeting si sono quindi risolte nel classico “tanto rumore per nulla”. I mercati prevedevano quattro rialzi dei tassi nel 2018, basandosi sugli ottimi dati economici americani e sulla prima audizione di Powell davanti al Congresso, dove si disse convinto del suo punto di vista positivo sull’economia USA. Tuttavia, la Fed per ora pianifica soltanto tre rialzi da qui a fine 2018. Le proiezioni dei dot plots per il 2019-2020 mostrano che la Fed si aspetta dall’economia USA una performance sufficientemente buona da sostenere in futuro un ciclo di tightening ancora più marcato.
Da tempo siamo dell’opinione che la Fed non agirà aggressivamente quest’anno, perché i suoi funzionari sanno che un tightening troppo veloce potrebbe avere effetti negativi sul mercato azionario. In ultima analisi, crediamo che comunicando solo tre rialzi dei tassi la Fed si sia lasciata la possibilità di accelerare il restringimento in seguito, se necessario. La Fed ha infatti alzato l’obiettivo per il Fed Funds rate sia per il 2019 che per il 2020, e ha rivisto al rialzo le previsioni sulla crescita del PIL, ma lasciando invariata la sua prospettiva sull’inflazione. Poiché ancora non c’è stato un rialzo dell’inflazione significativo, continuiamo a pensare che non ci si debba aspettare troppa aggressività della Fed quest’anno.
Anche se questo era il primo meeting del FOMC sotto la nuova leadership, l’audizione al Congresso di Powell ci ha dato già un assaggio del suo stile di comunicazione, che sembra essere uno degli aspetti in cui si differenzia dai suoi predecessori. I passati presidenti della Fed sono sempre stati molto prudenti nelle loro affermazioni; Powell è stato molto più diretto riguardo l’impatto delle previsioni economiche sul dot plot della Fed. Lo stile di comunicazione di Powell è più assertivo, e, come risultato, sembra che i suoi commenti abbiano un effetto più immediato sui mercati – il che spiegherebbe perché le aspettative del mercato erano più orientate ad un quarto rialzo nel 2018. Data la tendenza di Powell ad esprimersi in maniera molto netta, è lecito attendersi maggior volatilità qualora una delle sue dichiarazioni si verificasse errata. Powell ha sottolineato come il meeting del 21 marzo abbia prodotto una sola vera decisione: quella sui tassi. Tutto il resto, dot plots compresi, fornisce soltanto un quadro dei possibili esiti.
Affinché l’inflazione centri l’obiettivo del 2%, l’economia USA deve performare bene per tutto l’anno. In questo momento, le proiezioni sul PIL nominale ne prevedono una crescita abbastanza veloce, il che dovrebbe essere positivo per gli utili delle imprese. A mano a mano che la Fed diventa più attiva nella parte anteriore della curva, lo spread tra i Treasury decennali e quelli a 30 anni dovrebbe rimanere stabile, o addirittura contrarsi. Ci aspettiamo che i Treasury a 10 anni e a 30 anni rimarranno quest’anno più o meno ai livelli attuali, il che dovrebbe essere positivo per i titoli azionari.

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