I brand italiani ricominciano a correre, ma le marche medio piccole rischiano grosso

Il valore medio dei brand asset delle prime 50 marche italiane è cresciuto il 35% in più di quello dei primi 500 brand globali. Grazie ai risultati di quest’anno i brand italiani stanno tornando ai valori di qualche anno fa. Tra le imprese presenti nella classifica italiana mediamente il brand asset pesa 18% dell’Enterprise Value, con punte dl oltre il 50% nel lusso.
Le prospettive di fatturato associabili alle strategie di marca dei 50 principali brand italiani sono mediamente aumentate grazie alla più favorevole congiuntura economica, ad una migliore gestione del business e al rafforzamento delle marche rispetto ai competitor internazionali.
Il raddoppio a 12 unità dei brand AAA estremamente forti ha contribuito al 3% di rafforzamento medio delle marche italiane in classifica.  Questo miglioramento ha finalmente consentito di avvicinare il livello medio di influenza dei top 50 brand italiani a quelli dei principali paesi europei. Le marche posizionate nella parte alta della classifica si sono rafforzate più delle altre, aumentando così il gap tra leader e follower.
“Il vero problema è annidato tra i brand che non sono entrati in classifica. Infatti abbiamo rilevato che le marche virtualmente posizionati tra il 51° e il 150° posto, sono nettamente meno influenti dei concorrenti diretti” – continua Massimo Pizzo managing director Italia di Brand Finance – “Infatti la netta maggioranza delle imprese italiane monitorate, investono meno dei competitor internazionali in innovazione, risorse umane, marketing e distribuzione, tutti elementi che concorrono al rafforzamento della marca” Nonostante questo anche i marchi più deboli hanno incrementato il proprio valore soprattutto grazie a fattori esogeni: diversi di questi brand fino allo scorso anno, quando le prospettive congiunturali erano meno positive, perdevano valore.
Le marche che sono cresciute maggiormente in valore economico, come TIM, Gucci, Valentino, Enel hanno strategie di branding la cui AAA estrema forza ha consentito di aggiungere un contributo economico rilevante al valore delle rispettive imprese. Fiat e Generali, hanno incrementato notevolmente il loro valore, ma essendo marche “solo” AA molto forti, sono più soggette ai fattori congiunturali e di mercato. Ne sanno qualcosa ad esempio Eni e Unicredit che hanno perso notevole valore rispetto al 2017. Il buon rafforzamento del brand AAA Pirelli ha compensato parzialmente alla notevole riduzione di fatturato dovuto all’abbandono del segmento degli pneumatici industriali, per una maggiore focalizzazione sul consumer premium.
TIM è la marca che è cresciuta maggiormente in valore rispetto al 2017. Questo brand AAA ha saputo approfittare della buona congiuntura e ha cominciato a capitalizzare gli investimenti sull’operazione di rebranding di un paio di anni fa arrivando al secondo posto della classifica italiana e al 19° nella Brand Finance Telecoms 300. Molto bene anche Enel (AAA) e Gucci (AAA) il cui lieve arretramento in classifica non dipende da un peggioramento delle performance, ma dalla travolgente crescita di TIM. Infatti Enel si è rivelato essere il brand più forte al mondo tra le utility; performance che ha consentito a questa marca di rimanere incollata alla terza posizione nella Brand Finance Utilities 50. Il valore del brand Gucci è salito moltissimo, confermando la sua leadership nel settore del lusso, settore che domina la classifica italiana sia in valore sia in quantità di brand.
“Nonostante i segnali positivi dei brand in classifica, in generale le imprese italiane sia b2b sia b2c sono ancora troppo poco attente al branding, cioè alla messa punto dei fattori emozionali che sempre concorrono nelle scelte dei clienti e che in molti casi prevalgono sul prezzo e sulla qualità del prodotto o dei servizi.” – conclude Massimo Pizzo – “Le imprese italiane devono fare un salto evolutivo: per aumentare il fatturato, e soprattutto il margine, è necessario un miglioramento della gestione del branding. L’attenzione per la qualità del prodotto e per l’organizzazione aziendale non possono continuare a rimanere le uniche aree su cui focalizzare l’innovazione.”

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