Un primo trimestre di caos: Commercio, tecnologia e Treasury

A cura di Stuart Canning, M&G Investments
A febbraio si è riaffacciata la volatilità, ma non il tipo di volatilità con cui avevamo fatto il callo per buona parte del periodo iniziato con la crisi finanziaria.
Invece dei timori relativi alla crescita, questa volta a causare i declini dei mercati azionari a inizio febbraio sono state le pressioni sulle valutazioni provocate dai tassi in rialzo.  In queste mondo quelle che sono “buone notizie” per l’economia possono tradursi in “brutte notizie” per molti asset.
Ovvio che il “Signor Mercato” sia apparso confuso. La quantità di oscillazioni di prezzo intra-giornaliere sull’indice S&P 500 è stata paragonabile a quella vista durante  la fase di paure relative alla recessione globale del 2016  (il grafico 1 di seguito mostra il numero di volte in ciascun trimestre in cui il mercato ha toccato sia livelli +0,5% e -0,5% in un giorno).

Le oscillazioni intra-giornaliere non devono necessariamente essere la stessa cosa di un picco del VIX. Quest’ultimo potrebbe semplicemente riflettere movimenti rapidi in una direzione (solitamente in negativo), che possono avere luogo in quanto una maggioranza di investitori cambia idea allo stesso modo contemporaneamente.
Per contro, frequenti cambiamenti di direzione potrebbero dimostrare la prevalenza di opinioni contrastanti sul futuro (avevo scritto un articolo sulla natura di convinzioni e volatilità proprio un anno fa).  Se da una parte potrebbe semplicemente trattarsi di porzioni di dati in conflitto tra loro in uno stesso giorno (buone notizie di profitti tech seguite ad esempio da un tweet arrabbiato di Trump), è più probabile che l’attuale dinamica degli attuali tassi di interesse stia creando “un’incertezza dei modelli di pricing” più elevate.
Ad esempio, una buona notizia a livello macro dovrebbe suggerire profitti positivi in futuro per l’America a livello societario e prezzi azionari più elevati. Ma i tassi in aumento che potrebbero accompagnarsi a questi dati più solidi potrebbero tradursi in valutazioni “più economiche”, e di conseguenza prezzi potenzialmente inferiori.
In un “mondo dei mercati efficienti”, tutti gli investitori interpreterebbero gli stessi dati allo stesso modo. Tuttavia, in realtà, alcuni porrebbero l’accento sull’impatto dei profitti e altri sull’impatto dei tassi. Ciò rende più difficile valutare gli asset, e le varie visioni divergenti sull’argomento possono causare cambiamenti più frequenti nella direzione dei mercati.
E comunque, le oscillazioni sono ancora relative ai tassi?
I cambiamenti di direzione dei mercati hanno messo in difficoltà gli osservatori nel seguire le spiegazioni dei comportamenti dei prezzi. Nel primo trimestre gli impianti narrativi sono mutati rapidamente. Di fatto, alla fine del primo trimestre, non si parlava più di pressioni sui tassi.
Ciò ha rispecchiato cosa stava succedendo ai prezzi. Nonostante gli aumenti dei rendimenti di Libor e Treasury a 2 anni, l’inclinazione della curva dei rendimenti che era stata associata con l’ondata iniziale di debolezza azionaria (si veda il grafico 2) si era attenuata. Tuttavia, ciò non si è tradotto in un recupero del mercato azionario statunitense. Al contrario, l’indice S&P 500 ha di nuovo toccato le minime di febbraio, suggerendo che ci fosse anche dell’altro.

Abbiamo già parlato dei pericoli che si possono correre nel cercare di far coincidere una storia con i movimenti dei prezzi. È risaputo che la volatilità ha una certa propensione al “raggruppamento”, pertanto il fatto che la volatilità dei mercati azionari sia aumentata in febbraio potrebbe essere il motivo principale per cui essa sia perdurata nel mese di marzo. Tuttavia, nel corso del primo trimestre sono emerse un paio di storie che potrebbero rivelarsi significative nel periodo a venire.
Guerre commerciali
Forse il timore più reale per gli investitori dovrebbe essere rappresentato da segnali di possibili tendenze protezionistiche a livello globale.
A gennaio, Donald Trump ha imposto dazi sui pannelli solari e su lavatrici su larga scala. A marzo questi dazi sono stati estesi ad acciaio, alluminio e altri prodotti cinesi (fortemente volti a contrastare i furti di proprietà intellettuale).
Di per sé, queste misure potrebbero avere un impatto limitato sull’economia statunitense (ma una certa rilevanza per la possibilità di effetti a valle più significativi). Quel che preoccupa molti osservatori di mercato è la possibilità che questi siano solo i primi passi, sia in termini di quel che potrebbe eventualmente succedere negli USA (gli economisti americani ricordano ancora gli effetti dei dazi Smoot-Hawley negli anni trenta del secolo scorso), che in termini di possibili rappresaglie da parte di altri Paesi. Ieri la Cina ha annunciato le proprie contromisure.
La situazione sta cambiando di giorno in giorno, ma dovrà essere monitorata da vicino. Anche se le elezioni dominano spesso i titoli di giornale, le vere problematiche politiche che interessano agli investitori sono spesso forze strutturali più profonde che stanno dietro alla gestione di una società. La globalizzazione ha giocato un ruolo importante nelle performance di tutti gli asset negli ultimi decenni, nel determinare livelli di inflazione e rendimenti obbligazionari inferiori, ma anche nell’abilità delle imprese globali di generare profitti più solidi rispetto al passato.
Il protezionismo potrebbe servire a invertire queste tendenze, anche se la capacità di ricacciare il genio della lampada nella sua bottiglia, dato un mondo di interconnessioni sempre più intricate, resterebbe da vedere, così come la reale volontà dei politici di chiudere le proprie economie.
Volatilità dei FANG
Un’altra storia rilevante del trimestre è stata quella delle forti oscillazioni dei titoli “FANG” negli Stati Uniti. Questi titoli, alcuni dei quali dovrebbero essere spostati in diversi settori da MSCI e S&P a settembre, rappresentano alcune delle compagnie maggiori del mercato finanziario statunitense. Le loro oscillazioni di prezzo possono avere effetti significativi, sia direttamente sull’indice statunitense complessivo, che indirettamente sui mercati a livello globale.
I FANG + indice dei titoli erano su del 25% prima di calare del 12% dalle loro massime. Nel corso del trimestre, Netflix è stata su fino al 73% e Amazon al 37%, prima dei bruschi cali alla fine del trimestre.

Possiamo indicare i principali fattori alla base di tali debolezze di mercato. Facebook (dopo lo scandalo di Cambridge Analytica), Nvidia e Tesla (dopo i timori relativi alla sicurezza delle auto senza guidatore) e Amazon (dopo ipotesi che Donald Trump avrebbe aumentato le normative) hanno tutte giocato ruoli importanti.
Ma è anche vero che questa volatilità va messa in conto. Quello che queste caratteristiche hanno in comune con i movimenti di mercato più ampi discussi in precedenza è il ruolo dell’incertezza del modello di pricing. Questi titoli destabilizzanti sono difficilmente valutabili (come abbiamo visto nella bolla tech) in quanto i flussi di profitti sono percepiti (a torto o a ragione) come meno certi.
Quando esiste un’ “ancora di valore” inferiore sotto forma di aspettative di utili stabili, i prezzi possono variare in modo più significativo. Quando questo elemento è associato alle sfide percepite a questi utili sotto forma di normative, e la confusione causata dai movimenti dei tassi di tutti gli asset, non sorprende vedere inversioni di rotta sul breve termine e significative dei prezzi.
Paure di crescita
Alla base di tutti questi movimenti c’erano ipotesi che le dinamiche di crescita globale fossero culminate, con un appiattimento della curva dei rendimenti che avrebbe fatto riemergere i timori relativi a una prossima recessione. L’idea che la curva dei rendimenti rifletta alcune informazioni non ancora disponibili altrove è alquanto bizzarra, ma indubbiamente i dati di crescita globale sono stati più deboli del previsto, seppur solidi in senso assoluto.
Il mese scorso ho parlato dell’attenzione rivolta ai cali di molti indici di sorpresa economica e possiamo aggiungere a questo alcuni cenni di stimoli ridotti dalla Cina e segnali di commercio globale più morbido come ragioni di timore.
Tuttavia, queste dinamiche erano in atto anche a gennaio, quando i mercati azionari erano molto solidi. Il contesto economico dei fondamentali va sempre considerato, ma dovremmo stare attenti ad attribuire maggiore importanza a elementi economici solo perché il movimento dei prezzi di breve termine degli asset sembra giustificarli.
Conclusione: Centrismo degli Stati Uniti
Vale la pena di notare che, a parte timori generici relativi alla crescita, molte delle principali storie del trimestre sono state incentrate sul mercato statunitense (tassi USA, tecnologia USA, presidente USA). Questi sono indubbiamente punti importanti ma gli investitori dovrebbero evitare la trappola del concentrarsi su tali problematiche a scapito di tutti gli altri fattori.
Ogni giorno siamo dominati da nuove informazioni. Alcune saranno utili, altre saranno solo rumore. Decidere a cosa prestare attenzione viene spesso determinato da forze comportamentali, sia interne (le nostre risposte e bias emotivi) che esterne (come vengono inquadrate le informazioni). Nel mondo occidentale c’è una tendenza al dominio della situazione da parte degli sviluppi statunitensi, spesso a ragione, date le dimensioni del mercato, ma ciò può anche creare il rischio di un focus eccessivamente specifico su poche problematiche a scapito di altri segnali.
Questa tendenza può acuirsi quando la volatilità è elevata, i modelli di pricing più incerti, e le notizie di natura emotiva. Nel contesto attuale è ovvio che gli sviluppi provochino cambiamenti frequenti di direzione per i mercati azionari e altri asset di rischio. Ciò può a sua volta creare ulteriori tensioni nei processi decisionali. Gli investitori devono essere consapevoli di queste dinamiche nel loro comportamento stesso e devono anche essere in grado di poter cogliere le opportunità che esse possono creare.

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