Le “inadempienze probabili” sono la priorità delle banche italiane per il 2018

L’edizione 2017 del report PwC sulle inadempienze probabili (“Unlikely To Pay”, UTP) sottolineava la necessità per le banche italiane di focalizzarsi in modo prioritario sulla gestione delle esposizioni classificate come UTP, ovvero crediti per i quali la banca ritiene improbabile un rimborso integrale. Un anno dopo, dalla nuova analisi di PwC sul segmento UTP – dal titolo “Il mercato italiano dei crediti UTP: is now the momentum?” – emerge invece come tale segmento abbia mostrato nel 2017 pochi movimenti e limitati passi avanti.

Ancora oggi la gestione degli UTP si conferma una sfida cruciale per il sistema bancario italiano: i dati di fine 2017 mostrano elevati volumi di UTP, pari a 94 miliardi di dollari in termini di Gross Book Value. Nell’esercizio 2017, inoltre, i crediti UTP hanno non solo raggiunto ma anche superato i livelli di sofferenze (“Bad Loans”) in termini di Net Book Value (rispettivamente €66 ed €64 miliardi).

Pier Paolo Masenza, Financial Services Deals Leader di PwC commenta: “Crediamo che, dopo un 2017 in cui la issue delle inadempienze probabili si è affacciata nelle agende degli istituti italiani, il 2018 rappresenterà invece il momento chiave per compiere passi avanti, decisi e risolutivi, e rispondere a questa sfida. Questa urgenza è confermata sia dai numeri, con 94 miliardi di dollari di UTP a fine 2017, sia dalla limitata mobilità che contraddistingue tale stock. Siamo convinti che nei prossimi mesi assisteremo ad una crescente attenzione nella ricerca delle migliori soluzioni strategiche per rispondere a questa sfida. Tra queste un ruolo potenzialmente disruptive e innovativo potrebbe essere la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione con crediti UTP come sottostante”.

I dati chiave 2017

Le Non Performing Exposures (“NPE”) del settore bancario italiano a fine 2017 ammontavano a 264 miliardi di euro (GBV), con un calo di circa il 18% rispetto al dato di 324 miliardi registrato a fine 2016.

All’interno di tali volumi complessivi, il segmento delle inadempienze probabili a fine 2017 ammontava a 94 miliardi di dollari (GBV), registrando una diminuzione di circa il 20% rispetto a €117 miliardi dell’esercizio precedente. Prendendo in considerazione il triennio 2015-2017, i crediti UTP hanno registrato un trend (CAGR) del -14%.

I dati 2017 confermano inoltre la forte concentrazione dei crediti UTP, con l’80% concentrato tra le 10 maggiori banche (76% a fine 2016). Considerando solo i tre principali istituti, tale percentuale ammonta al 53% (51% nel 2016).

In termini di accantonamenti, le dieci maggiori banche domestiche hanno nel 2017 migliorato il coverage ratio, pari al 30,4% rispetto al 29,1% del 2016, mentre l’incidenza sui prestiti complessivi è scesa dal 6,6% del 2016 al 5,5% a fine 2017.

La priorità: la gestione di uno stock ancora elevato

Nonostante il trend di diminuzione registrato nei volumi di UTP dalla maggior parte degli istituti, in parte determinato dalle cessioni legate alle operazioni di bailout occorse nell’anno (e.g. Veneto Banca, BPVicenza, Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti, CRCesena, Carim, Carismi) si tratta di una sfida ancora dalla magnitudine elevata: il 37% delle NPE delle 10 maggiori banche è rappresentato da UTP, con diversi istituti (4 su 10) che registrano un UTP ratio superiore al 40%.

Alla fine del 2017, nonostante minori flussi in uscita verso il segmento sofferenze (-5%) ed i minori flussi in entrata dai crediti performing (-2%) rispetto al 2016, il 50% dello stock UTP – per un ammontare di €44,5 miliardi – è rimasto all’interno del segmento, un dato che conferma la necessità strategica di gestire questi volumi ancora molto elevati individuando appropriate soluzioni di deleveraging.

La ragione di questo “immobilismo” sta innanzitutto nella mancanza di efficaci misure di ristrutturazione del credito. Secondo Banca d’Italia il 62% degli accordi di ristrutturazione – che riguardano prevalentemente proprio posizioni di UTP – dopo 4 anni sono ancora in corso, senza aver portato ad un risultato positivo e definitivo.

L’impatto del regolatore

Le indicazioni del Regolatore verso una gestione proattiva dei NPL rappresenteranno nei prossimi mesi un “game changer” anche per il segmento UTP. In particolare: le linee guida BCE, in Italia estese anche agli istituti di dimensioni minori, insieme al calendar provisioning indicato nell’Addendum BCE che richiede accantonamenti superiori e più rapidi, nonché l’applicazione dell’IFRS 9 da gennaio 2018 avranno un rilevante impatto sulla gestione degli UTP.

Questi driver senz’altro impatteranno e saranno alla base della gestione da parte degli istituti dell’attuale portafoglio NPL, dei prossimi flussi di NPE ed infine anche dei piani di gestione del segmento UTP.

Quali strategie adottare?

La sfida degli UTP non deriva solo dagli elevati volumi, bensì anche dalla complessità intrinseca che li caratterizza. Il segmento UTP include infatti posizioni che vanno dal semplice scaduto sino a situazioni più complesse, prossime allo status di vera e propria sofferenza. A questo si aggiungono specifiche derivanti dal settore, dalla taglia, dalla permanenza del credito come UTP, e ancora dalla presenza di eventuali garanzie.

Questo rende necessario per le banche una segmentazione del portafoglio e una specifica due diligence su ogni singola posizione UTP, per comprendere l’asset quality e individuare la soluzione più ottimale. Solo attraverso tale approccio proattivo sarà possibile identificare la migliore opzione strategica di deleveraging.

Alessandro Biondi, Co-Head NPL di PwC conclude: “Da un lato gli stringenti requisiti di capitale ed i piani a breve/medio termine per ridurre il ratio NPE potrebbero portare nei prossimi mesi a significative opportunità di cessione di UTP, sia singole posizioni che piccoli portafogli. Dall’altro lato un’attenta valutazione delle proprie capacità industriali e di expertise interne, insieme alla valutazione del possibile upside derivante da un’accurata attività di ristrutturazione del credito UTP, potranno indurre i singoli istituti a valutare se optare per una gestione interna oppure esterna degli UTP attraverso servicer specializzati”.

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