Bce verso una normalizzazione: quali fattori ne guideranno il percorso?

Di Silvia Dall’Angelo, Senior Economist di Hermes Investment Management

Nonostante la ripresa economica dell’Europa, l’orientamento politico della Banca Centrale Europea è rimasto accomodante. Tuttavia, con il proseguire dell’espansione economica, è necessaria una revisione degli strumenti di politica monetaria nell’attuale panorama della BCE. È quanto sostiene Silvia Dall’Angelo, Senior Economist di Hermes Investment Management, che nel suo ultimo report valuta i fattori che influenzano il percorso incerto della BCE verso la normalizzazione monetaria e discute su come riformulare la politica monetaria.

Il QE e la legge dei rendimenti in diminuzione

La nostra analisi suggerisce che il QE ha avuto un impatto significativo, sui rendimenti delle obbligazioni governative, con una riduzione tra i 70 e i 160 punti base nelle varie giurisdizioni. La BCE ha raggiunto conclusioni analoghe, il che indica che misure di politica monetaria non convenzionali hanno compresso i rendimenti di lungo termine di circa 100 punti base. Inoltre, la Banca ha stimato che le misure introdotte tra la metà del 2014 e ottobre 2017 avrebbero stimolato la crescita e l’inflazione di circa l’1,9 punti percentuali tra il 2016 e il 2021.

Mentre il programma di acquisto di titoli obbligazionari è stato efficace, le considerazioni costi-benefici suggeriscono essere giunto il momento di prepararsi a un’uscita dal QE. Oggi, il beneficio marginale del QE è modesto, mentre il suo costo, in termini di distorsione dei mercati finanziari e di effetti distributivi, sono elevati.

View convergenti sull’inflazione

Nonostante l’accelerazione dell’attività economica, l’inflazione non ha seguito, rimanendo ben al di sotto del target della BCE di poco meno del 2%. Il Presidente della BCE Mario Draghi ha chiarito che sussistono le condizioni per porre fine all’acquisto di obbligazioni: un aggiustamento duraturo del percorso dell’inflazione verso il target di poco meno del 2% che comprende i tre elementi convergenza, fiducia e resilienza.

Sono stati fatti progressi in termini di convergenza e fiducia, ma la traiettoria dell’inflazione continua ad affidarsi in modo significativo al supporto della politica monetaria. Le previsioni della Banca Centrale Europea sull’inflazione hanno costantemente mostrato una graduale convergenza verso l’obiettivo del 2% e gli aggiustamenti tra le successive previsioni di recente sono stati più contenuti (vedi il grafico a seguire). Inoltre, la forza della ripresa economica ha sottolineato una fiducia in miglioramento dei decisori politici.

Draghi ha parlato di due fattori che potrebbero spiegare il perché l’inflazione ha sorpreso al ribasso. Primo, la reazione al rallentamento del processo di formazione dei prezzi è diminuita (ad esempio un appiattimento della Curva di Phillips). In secondo luogo, le misure relative alla sottoccupazione evidenziano un rallentamento del mercato del lavoro rispetto a quando suggerito dal tasso di disoccupazione.

Pericolo di ribassi a sorpresa

Draghi ha, inoltre, messo in guardia da due rischi esterni di peggioramento dello scenario inflattivo. Un’escalation delle tensioni commerciali costituirebbe uno shock sul versante dell’offerta per l’economia e probabilmente lascerà il posto a un periodo di stagflazione. Le pressioni esercitate dai costi potrebbero temporaneamente portare a un aumento dell’inflazione, mentre un indebolimento della domanda determinerebbe probabilmente un suo rallentamento in futuro. Inoltre, maggiori barriere al commercio internazionale danneggerebbero in modo particolare l’economia aperta della zona euro.

Nel frattempo, un ulteriore apprezzamento dell’euro e l’inasprimento delle condizioni finanziarie potrebbero deprimere dinamiche inflazionistiche già contenute. Secondo Draghi, come regola generale, un apprezzamento del 10% del tasso di cambio effettivo permanente abbassa l’inflazione di circa 40-50 punti base.

Rimodellare la politica monetaria

L’approccio della BCE alla normalizzazione sarà graduale e prudente nel prossimo futuro. La fine degli acquisti netti del QE segnerà il primo passo del processo, seguito da un aumento dei tassi e da un aggiustamento graduale delle passività di bilancio. Tuttavia, alcuni dettagli sull’uscita dal QE restano sconosciuti. Con l’approssimarsi della sua conclusione, l’attuale assetto di politica monetaria – QE, la politica di reinvestimento e le future indicazioni sui tassi – dovrà essere rimodellato prima di adottare ulteriori misure per la normalizzazione.

Ciò può includere una proroga del QE fino alla fine di quest’anno e la successiva conclusione degli acquisti netti. Prevediamo che il tapering continuerà nel quarto trimestre, con un ritmo di acquisto mensile compreso tra 10 e 15 miliardi di euro. L’annuncio di un’estensione del QE dovrebbe avvenire in luglio.

Potremmo anche vedere un’enfasi sulle partecipazioni esistenti della BCE. Con l’approssimarsi della fine degli acquisti netti del QE, l’attuale legame tra lo stesso programma e le prospettive d’inflazione si evolverà probabilmente in un legame tra l’insieme delle politiche in atto e le aspettative d’inflazione. Di conseguenza, la politica di reinvestimento delle obbligazioni in scadenza assumerà maggiore rilevanza quando il QE terminerà.

L’evoluzione della forward guidance

Gli attuali orientamenti di massima stabiliscono che i tassi di cambio rimarranno ai livelli attuali “ben oltre” la fine del programma QE. Ciò significa probabilmente che ci vorranno circa sei mesi. Pertanto, in caso di proroga del QE fino alla fine dell’anno, il primo piccolo rialzo dei tassi (non superiore a 25 punti base) avrà luogo probabilmente a metà del 2019.

Prima della fine del QE, sarà necessario elaborare una forward guidance per garantire un percorso di normalizzazione graduale e prevedibile per i tassi di interesse. Probabilmente si porrà maggiormente l’accento sulla dipendenza dai dati, in particolare a livello di indicatori sulle pressioni inflazionistiche generate sul mercato interno.

Necessaria una maggiore integrazione

Negli ultimi anni, la BCE si è adoperata per dare una risposta alle crisi e garantire la sopravvivenza della moneta unica quando è stata messa in discussione la sua sostenibilità. In alcuni casi la BCE è stata messa a dura prova nel tentativo di colmare le lacune del quadro istituzionale europeo.
Tuttavia, vi sono limiti al raggio d’azione della politica monetaria e l’area euro ha bisogno di una maggiore integrazione per rispondere meglio alla prossima crisi. È incoraggiante notare quanto i governi francese e tedesco siano allineati nel riconoscere la necessità di una riforma dell’UE. In un contesto di crescenti pressioni populiste, resta però da chiarire se i governi europei dispongano del capitale politico necessario per le riforme e se siano disposti a spenderlo.

La BCE si trova ad affrontare una miriade di sfide nel suo percorso verso la normalizzazione della politica monetaria. Le più urgenti riguardano la definizione della politica monetaria alla luce di dinamiche inflazionistiche incerte, della potenziale reazione dei mercati e di considerazioni sul rapporto costi/benefici delle politiche non convenzionali.

Nel contempo, la politica potrebbe interferire nel processo di normalizzazione, poiché un lento processo di integrazione europea imporrebbe un onere maggiore di responsabilità alla BCE. In questo contesto, l’approccio “paziente, persistente e prudente” di Draghi sembra essere il mantra giusto da seguire.

Le previsioni della BCE sull’inflazione hanno mostrato una graduale convergenza verso l’obiettivo del 2% – Fonte: Hermes, sulla base dei dati forniti dalla Banca Centrale Europea e da Eurostat, aprile 2018

Le previsioni della BCE sull’inflazione

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