Europe Day: il futuro dell’Eurozona nell’outlook di Bny Mellon

A cura di Jason Lejonvarn, Investment Strategist di Mellon Capital (BNY Mellon AMNA)
Guardando ai risultati degli ultimi  1 e 3 anni, si può concludere che i rendimenti dei mercati azionari europei stanno ancora rincorrendo quelli degli Stati Uniti e del Giappone. Tuttavia, guardando al futuro – e in occasione dell’anniversario dell’Unione Europea – qual è l’outlook per le Borse dell’UE?
Mellon Capital, parte di BNY Mellon Asset Management North America, genera delle stime sui rendimenti tramite un processo proprietario basato sui flussi di cassa sottostanti delle aziende in ciascun mercato azionario. Su questa base, prevediamo un rendimento leggermente più alto per lo STOXX 50 (9,2%) rispetto all’S&P 500 (8,2%). L’Europa ha anche un profilo di rischio leggermente più basso rispetto agli USA, grazie soprattutto alla solidità delle tre economie più grandi: Germania, Francia e Gran Bretagna.
In favore dell’Europa ci sono anche le stime più alte sui dividendi (3,9%) rispetto agli USA (2%) e al Giappone (1,9%) e un rapporto P/E forward più basso (14,2) rispetto agli USA (16,5) – ma non al Giappone (14) e ai mercati emergenti (12).
All’interno dell’Europa, i Paesi periferici più grandi, soprattutto Italia e Spagna, mostrano il potenziale di crescita più alto per le azioni, con rendimenti attesi nel lungo periodo del 10,2% e del 10% rispettivamente, contro una media europea del 9,2%. Per quanto riguarda la sfida tra titoli growth e value , prevediamo un tasso di crescita degli utili molto più alto negli USA (16,5%) che in Europa (7,5%), e ancor più basso in Germania (5,4%) e Giappone (3,2%).
Mellon Capital genera anche una stima in tempo reale delle condizioni economiche delle principali economie (Leading Economic Indicators, LEI). I LEI mostrano che l’attività economica in Europa dovrebbe attestarsi al di sotto delle aspettative di consensus nei prossimi mesi. L’unica economia europea in grado di sorprendere in positivo i mercati è quella della Svizzera, grazie a una robusta domanda da parte dei consumatori. La Gran Bretagna, invece, potrebbe riservare sorprese negative, principalmente a causa dei dati più bassi su investimenti, domanda al consumo e fiducia, senza alcun dubbio collegati all’incertezza sulle negoziazioni della Brexit.
Sui mercati azionari, crediamo che l’Europa conquisterà gli investitori più prudenti con rendimenti attesi più alti, stime sul rischio più basse e dividendi più elevati, mentre USA ed emergenti continueranno ad attrarre investitori disposti a pagare per la crescita.
 
A cura di Jon Day, Gestore Fixed Income di Newton IM (BNY Mellon IM)
In un mondo obbligazionario in cui la Federal Reserve prosegue salda su un percorso di rialzo dei tassi e riduzione del bilancio, i bond dell’Eurozona cominciano a sembrare quasi degli investimenti rifugio.
L’inflazione resta ostinatamente bassa nell’Eurozona, con i livelli core che continuano a oscillare intorno all’1%, ben al di sotto del target della BCE prossimo al 2%. Il tasso di disoccupazione si mantiene ancora all’8,5%. La BCE resta fiduciosa circa la riduzione del programma di Quantitative Easing (QE), forse sino ad azzerarlo nel corso dell’anno; tuttavia, vi sono alcuni segnali e indici economici che sembrano mostrare un rallentamento nella ripresa dell’Eurozona.
Anche se i rendimenti dei bund a 10 anni sono intorno allo 0,6%, su base relativa non rappresentano un cattivo affare come potrebbero apparire inizialmente, se si considera che i titoli del Tesoro su base coperta dal cambio (in termini di euro, quindi) renderebbero solo lo 0,1%. Questo è dovuto all’ampia divergenza tra i tassi di interesse della Federal Reserve e della BCE, che annulla qualsiasi rendimento extra dei titoli del Tesoro.
Anche se la BCE dovesse decidere di arrestare del tutto il proprio programma di acquisto titoli, la Banca Centrale si è impegnata a reinvestire qualsiasi obbligazione in scadenza. Ci sarà pertanto un forte supporto per i mercati delle obbligazioni dell’Eurozona. Inoltre, l’ammontare di “nuova” moneta richiesto dai governi dell’Eurozona è in calo, diversamente dall’aumento del debito pianificato dagli USA.
Nel breve termine, il rischio principale in questo scenario è un aumento improvviso dell’inflazione, che spingerebbe la BCE ad accelerare la fine degli stimoli, spingendo al rialzo i rendimenti di tutta l’Eurozona e dimostrandosi particolarmente dannoso per l’Italia. Dato infatti il costante stress economico e politico in Italia, il supporto della BCE ha significativamente soppresso i rendimenti delle obbligazioni di Stato. I livelli di debito del governo italiano sono elevati, e qualsiasi aumento dei rendimenti metterebbe sotto pressione la capacità pubblica di rimborsare il debito.
Nel lungo periodo, l’insoddisfazione tra le popolazioni dell’Eurozona non si è dissipata. I partiti populisti stanno ancora ottenendo buoni risultati nelle elezioni. La recente fase positiva del ciclo economico ha mascherato alcuni di questi problemi, ma la disoccupazione (soprattutto giovanile) resta a livelli elevati e la prossima fase di recessione potrebbe essere particolarmente problematica, forse anche per l’esistenza stessa dell’Eurozona, dato che gli strumenti a disposizione della BCE sono già stati quasi interamente utilizzati e i governi hanno una capacità molto limitata di aumentare gli stimoli fiscali.

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