Gli investitori hanno troppa paura?

A cura di Nick Maroutsos e Daniel Siluk, gestori obbligazionari di Janus Henderson Investors

L’economia globale sta seguendo un tracciato di crescita solido e sincronizzato. In base ai dati sull’aumento demografico pubblicati dall’ONU, saranno altri 700 milioni i lavoratori che entreranno a far parte della manodopera mondiale entro il 2030, stimolando potenzialmente la produttività e l’espansione dell’economia globale. I prezzi degli asset in tutto il mondo sono corretti o alle stelle. Ma allora perché non tutti si comportano da tori scatenati?
È per il rischio di inflazione?
A nostro avviso, la tecnologia ha semplicemente reso l’inflazione obsoleta. Purtroppo, per i fornitori di forza lavoro non specializzata, semi specializzata e, presto o tardi, persino molto specializzata, gli sviluppi tecnologici hanno determinato un aumento significativo dei costi legati alla forza lavoro, che spingerà in ultima analisi le aziende (e i governi) a sostituire il personale che dispone ancora di giorni di ferie o vuole usufruire di piani sanitari e pensionistici con computer e soluzioni di automazione in grado di svolgere gli stessi incarichi meglio, spendendo meno e senza lamentarsi. I computer non fanno mai sciopero né chiedono l’aumento di stipendio. Questo effetto di sostituzione è incredibilmente potente e potrebbe verosimilmente deprimere la futura inflazione dei salari.
È per il rischio di una crisi finanziaria?
Le banche centrali di tutto il mondo sono impegnate in programmi di formazione “on-the-job” dagli anni ’90. Hanno studiato il ”Greenspan Put”, si sono laureati con lode alla “Helicopter Money School” di Bernanke, hanno conseguito un Dottorato all’Istituto ”Fare tutto il necessario” di Mario Draghi e hanno fugato ogni dubbio nel laboratorio radicale giapponese del “Non importa cosa facciamo né quanto spendiamo: non sono ammessi esperimenti sull’inflazione”. La volatilità dei mercati lascia intendere che i professionisti finanziari più ricchi e intelligenti giudicano il rischio ai minimi storici, dimostrando una piena e straordinaria fiducia nel fatto che, in presenza di un eventuale intoppo nei prezzi degli asset, i governatori delle banche centrali continuerebbero ad acquistare titoli fino a ripristinare la stabilità.
La Reserve Bank of Australia, la Federal Reserve (Fed) negli USA, la Bank of England, la Bank of Japan e la Banca Centrale Europea sono tutte intervenute immediatamente dopo la crisi, fornendo le risorse necessarie a ravvivare i mercati azionari con una liquidità libera e a basso costo e programmi di acquisto di obbligazioni. Ma questi stimoli dureranno per sempre? Sarà il tempo a rispondere, ma ormai sembra sia stato creato un precedente. Per il momento riteniamo che le banche centrali agiranno in modo prevedibile, noioso e lento, sia nell’aumentare i tassi d’interesse che nel revocare i piani di acquisto di asset.
Eppure, parlando con funzionari di governo, professionisti finanziari, gente per strada o tassisti o semplicemente leggendo i giornali, è facile comprendere come tutta questa situazione sia incredibilmente fragile, poco soddisfacente e destinata alla rovina. Molti investitori hanno ancora paura di allocare il proprio capitale nelle azioni e negli asset rischiosi, come dimostrano i cospicui volumi di liquidità depositati in Giappone, Europa e Stati Uniti, nonostante gli scarsi rendimenti, talvolta neppure positivi, corrisposti da questi prodotti. E quindi cosa sta succedendo nel mondo? Il cervello ci suggerirebbe di agire con coraggio sul fronte degli investimenti, ma la pancia impone prudenza.
Un “Minsky Moment”?
L’economista Hyman Minsky ha dato il nome (seppur postumo) al cosiddetto “Minsky Moment”. Secondo Minsky, le crisi sono intrinseche ai mercati finanziari. Più le economie si muovono in positivo, più gli operatori di mercato si fanno compiacenti, assumendo un rischio maggiore e aumentando i debiti, il che – in ultima analisi – prepara il terreno a un successivo periodo di instabilità.
I livelli contenuti degli indici di volatilità potrebbero preannunciare la quiete prima della tempesta? Le mosse del Presidente Trump per de-regolamentare le banche sono un segno di allentamento dei vincoli speculativi o gli oneri normativi stanno semplicemente passando ad altri settori, come quello tecnologico? La ripresa dell’attività di M&A è sinonimo di arroganza delle aziende o è solo una risposta ragionevole delle società che intendono crescere ulteriormente sfruttando i costi contenuti dei finanziamenti?
I pessimisti sostengono che l’appiattimento della curva dei rendimenti statunitense è una potenziale fonte di preoccupazione. Storicamente, quando la curva si inverte e i rendimenti dei Treasury a 10 anni scendono sotto quelli a 2 anni, la recessione è imminente, così come l’aumento dei casi di insolvenza nei mercati delle obbligazioni societarie. La mancanza di spread positivi significa essenzialmente che il mercato è più cupo riguardo alle prospettive economiche di lungo periodo rispetto a quelle di breve termine. Nell’aprile 2018, questo differenziale (solitamente indicato come ”2s10s”) è sceso a meno della metà di un punto percentuale (50 punti base). Eppure, fra la metà e la fine degli anni ‘90, abbiamo osservato come l’indicatore 2s10s possa oscillare rimanendo negativo per anni, senza per questo comportare una recessione. Resta quindi da vedere se la Fed proseguirà con tutti gli aumenti dei tassi annunciati anche se ciò potrebbe determinare un’inversione della curva dei rendimenti.

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