In America Latina si è aperta la stagione elettorale

A cura di Gorky Urquieta, Senior Portfolio Manager, Global Co-Head of Emerging Markets Debt, Neuberger Berman
In America Latina è tempo di elezioni. Lo scorso marzo a El Salvador si sono tenute le elezioni politiche e amministrative, in aprile in Costa Rica è stato eletto un nuovo presidente e due settimane fa in Paraguay ci sono state le elezioni generali. Fra due settimane saranno i venezuelani ad andare alle urne, seguiti dai colombiani una settimana più tardi, mentre Messico e Brasile concluderanno la stagione delle consultazioni rispettivamente a luglio e a ottobre. Quest’anno, sarà chiamata a votare più della metà della popolazione della regione oppure, in termini di PIL, due terzi abbondanti.
L’avanzamento del populismo in numerose economie sviluppate e la conquista delle prime pagine latinoamericane da parte di figure come Nicolás Maduro e Antonio Manuel Lopez Obrador inducono a ritenere che le votazioni saranno con ogni probabilità sinonimo di volatilità per chi investe nei mercati emergenti.
Vicini di casa, mondi lontani
Uno sguardo alla realtà potrebbe placare gli animi. Le recenti consultazioni elettorali hanno pronunciato questi verdetti: Argentina e Cile hanno optato per l’ortodossia economica tradizionale, il Paraguay ha scelto tra due candidati di centrodestra mentre a El Salvador il partito di estrema sinistra un tempo predominante, il FMLN, ha subito una batosta. I cittadini del Costa Rica hanno confermato i socialdemocratici al governo, ma per la presidenza hanno eletto il candidato di un altro partito di centrosinistra.
In Colombia, le elezioni tenute nel marzo di quest’anno hanno visto sbarcare al Congresso una nutrita rappresentanza populista. Prevediamo che la corsa alla presidenza si deciderà a giugno con un ballottaggio tra il populista di sinistra Gustavo Petro e il candidato di centrodestra Iván Duque Márquez. Ci aspettiamo che Duque vincerà, ma durante l’affollato primo turno il suo vantaggio è diminuito, prospettando un rischio di volatilità nei mercati prima dello sprint finale.
Il costante miglioramento dei già ottimi fondamentali colombiani conferma il nostro ottimismo sul peso e sul debito del paese in valuta sia locale che estera. L’ultima bancarotta della Colombia, uno dei primi paesi ad adottare l’ortodossia economica, risale a più di 80 anni fa. La Colombia è stato uno dei primi mercati emergenti a conquistare il rating investment grade. Una sorpresa elettorale potrebbe determinare una correzione di mercato, ma un afflusso costante di immigrati venezuelani ha tolto ai colombiani la voglia di “sperimentazione economica” stile Chavez.
La Colombia confina con il Venezuela, ma potrebbe trovarsi su un altro pianeta, rappresentando un esempio paradigmatico della diversità esistente tra le economie della regione. Come ha scritto Brad Tank lo scorso agosto, la situazione del Venezuela (che negli anni Ottanta del secolo scorso vantava un rating AA) è “drammatica, inutile, ma non rappresentativa”.
I partiti dell’opposizione boicotteranno le elezioni di maggio, pertanto è probabile che Maduro resti al potere. Se ciò dovesse accadere, difficilmente costituirà uno shock per i mercati. Ma basterà a riaccendere i disordini interni? Forse sì. Forse no. A lungo andare quel regime giungerà al capolinea semplicemente perché, con l’implosione delle esportazioni di petrolio e la cessazione dei flussi di finanziamento esteri, esaurirà le riserve di liquidità. Val la pena ricordare che, stando ai sondaggi, Maduro vanta tuttora un vantaggio del 20% rispetto a molti altri leader della regione. Il presidente venezuelano riesce a mantenere un simile consenso grazie a iniziative politiche, come l’aumento del 155% del salario minimo (una ben magra consolazione quando il tasso d’inflazione è del 10.000%). L’impatto di più ampio raggio resterà con ogni probabilità circoscritto al mercato petrolifero globale. Per gli investitori, l’insolvenza di obbligazioni scambiate a 20-30 centesimi per dollaro potrebbe costituire un rischio di ribasso minore se e quando l’attuale regime verrà messo alla porta.
Brasile e Messico
Le consultazioni elettorali più importanti saranno quelle di Brasile e Messico.
In Brasile, anche secondo il metro locale, il quadro politico è insolitamente frammentario. Non c’è un partito o una figura dominante… se si esclude Lula che, anche in carcere, non ha smesso di “fare campagna elettorale”. È difficile, tuttavia, che a ottobre scenda in lizza, ma stando ai sondaggi nessun altro candidato supera la soglia del 10% nei consensi.
In Messico, invece, Lopez Obrador (detto “AMLO”) viene costantemente dato dai sondaggi in largo vantaggio sugli altri due candidati principali, che vengono considerati scialbi continuatori dello status quo. AMLO ama indubbiamente darsi alla retorica populista, ma i mercati non sembrano curarsene molto. Forse hanno già scontato in parte la sua vittoria. O forse riconoscono che il suo operato verrà tenuto a bada dal Congresso, dalla costituzione, dai suoi consulenti più ortodossi e dal fatto di aver dimostrato, mentre era sindaco di Città del Messico, di saper tenere sotto controllo la spesa pubblica.
Alla luce di tutto ciò, gli investitori forse si focalizzeranno sui motivi di ottimismo offerti dal paese: il primo avanzo di bilancio (nel 2017), il rallentamento dell’inflazione (con conseguente nascita di invidiabili spazi per un allentamento delle politiche monetarie) e un tasso di cambio competitivo. Certo, il Messico pone veti sul NAFTA e dichiara che “un’assenza di accordo è meglio di un accordo sfavorevole”, ma in ultima istanza non controlla quei rischi (sono gli Stati Uniti a controllarli). Nel complesso, riteniamo che il debito sovrano estero e i tassi locali offrano già un prezzo interessante e una sconfitta a sorpresa di AMLO potrebbe dare il via a un ulteriore (e consistente) rally.
Ad ogni modo, riteniamo che un esito “sfavorevole ai mercati” in Messico o Brasile difficilmente scatenerebbe una reazione sistemica nei mercati emergenti. Sono due paesi grandi e importanti, ma sono anche diversi, e oggi gli investitori sanno distinguere meglio di una volta.
Forse è proprio questa la lezione più importante che ci può impartire questo calendario ricco di appuntamenti elettorali in America Latina. A livello politico ed economico, i paesi della regione sono più diversi e, probabilmente, più moderati e ortodossi di quanto non si pensi. Ciò potrebbe aiutare la regione a superare eventuali sorprese sfavorevoli ai mercati e favorire gli investitori capaci di adottare un approccio realmente discriminante.

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