Mal di spread, quanto pesa nelle tasche degli italiani

A cura di Maurizio Mazziero, Mazziero Research
Spread a 200, il conto inizia a farsi salato, l’aumento del rendimento dei BTP può pesare oltre 3 miliardi di interessi in più nelle tasche degli italiani.
Precisiamo subito quello che non troverete in questo articolo: le attribuzioni di colpe.
Non ci accoderemo a molti articoli italiani ed esteri che cavalcano il nervosismo dei mercati per fare un processo alle intenzioni a un Governo che ancora non è nato.
Semplicemente andremo a valutare gli impatti dei numeri, in modo oggettivo.
Spread a 200, primo mito da sfatare
Un aumento dello spread sicuramente fa salire la spesa per interessi, ma:

  1. L’aumento riguarderà le nuove emissioni e non il circolante di titoli di Stato che per il 74 per cento è a tasso fisso. Il maggior rendimento impiegherà un certo tempo prima di influenzare tutte le emissioni visto che la durata media finanziaria dei titoli di Stato è di 6,90 anni.
  2. Non è corretto considerare lo spread come elemento per valutare l’aumento della spesa per interessi, in quanto lo spread è la differenza fra il rendimento del BTP e del Bund decennale. Il Tesoro, invece, pagherà gli interessi solo in funzione del rendimento dei titoli italiani, indipendentemente da quelli tedeschi.

Rendimento BTP e BUND
La dimostrazione è nel grafico qui sopra, lo spread a 200 è il risultato di un rendimento del BTP italiano che è aumentato, ma anche di un rendimento del BUND tedesco che è diminuito. Ai fini della nostra spesa per interessi, il rendimento del BUND lo possiamo tranquillamente ignorare. Quindi considerando il nostro BTP, il rendimento è passato in meno di un mese da poco sotto l’1,75 per cento a quasi 2,50 per cento con una differenza di circa 0,75 per cento.
Quanto pesa nelle tasche degli italiani
Costo variazioni rendimenti mag18
La tabella qui sopra risponde alla domanda: quanto incide questo aumento dei rendimenti nella spesa per interessi?
Per realizzare questa tabella abbiamo introdotto delle approssimazioni:

  1. Abbiamo considerato l’ammontare delle nuove emissioni nell’arco degli ultimi 12 mesi; l’arco temporale di un anno è sufficientemente ampio per risultare stabile, mentre le emissioni mensili potrebbero variare. Quindi se il valore dei rendimenti tornasse a scendere, la spesa per interessi varierà in funzione della quantità di nuove emissioni che sono state fatte nel periodo più sfavorevole.
  2. Il rialzo dei rendimenti viene misurato partendo dal BTP decennale, ma non tutti i titoli (BOT, CCT ecc.) e non tutte le scadenze variano della stessa misura.

Pur con tutte le semplificazioni, possiamo dire che un aumento dello 0,75 per cento determina una maggiore spesa per interessi di circa 3,2 miliardi l’anno, quasi 270 milioni al mese.
Nel caso questi maggiori rendimenti dovessero diventare strutturali e mantenersi nel tempo i 3,2 miliardi crescerebbero in modo geometrico diventando 6,4 miliardi in più rispetto ad oggi nel secondo anno, 9,6 nel terzo e così via sino alla sostituzione del circolante con nuove emissioni in 6,9 anni.
Nel 2017 abbiamo speso 68 miliardi in interessi sui titoli di Stato (65 miliardi dopo la compensazione con gli interessi attivi), una spesa improduttiva destinata a pesare sempre di più.
Concludendo, il nuovo Governo parte con una strada tutta in salita e paga un’avversione dei mercati che non gradiscono un “esecutivo di cambiamento”, ma senza dubbio risulta penalizzato anche dal troppo chiacchierare delle forze politiche che lo sostengono.
Un bel tacer non fu mai scritto (citaz. attribuita a Iacopo Badoer).
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