Valute e obbligazioni Emergenti sempre più sotto pressione

A cura di Raiffeisen Capital Management
Ad aprile e inizio maggio sono proseguite le forti oscillazioni dei corsi sui mercati finanziari. L’indice MSCI EM ha chiuso il mese di aprile con un leggero rialzo; i singoli paesi e le singole regioni hanno, tuttavia, avuto un andamento molto eterogeneo. Per esempio, ci sono stati in parte forti cali in Indonesia, Turchia o delle azioni cinesi quotate sul continente, mentre gli indici azionari in Grecia e India hanno fatto registrare forti guadagni. I movimenti più consistenti e importanti di aprile e inizio maggio sono stati registrati, tuttavia, per le valute e le obbligazioni di molti paesi emergenti (EM).
 
Valute e obbligazioni dei mercati emergenti sempre più sotto pressione
Le obbligazioni dei Mercati Emergenti da tempo mostrano una tendenza più debole sulla scia dei rialzi dei rendimenti USA; ultimamente questa tendenza ha però notevolmente accelerato il passo. Verso la metà di aprile, infatti, il dollaro USA ha iniziato un forte recupero e contemporaneamente sono scese significativamente le obbligazioni e le valute dei mercati emergenti. L’indice JPM Government Bonds EM nella prima metà di maggio è sceso al livello di novembre 2016. È stato difficile individuare dei veri fattori responsabili del rafforzamento del dollaro. Sono stati citati perlopiù i rendimenti obbligazionari USA in aumento e il rischio di rottura della soglia del 3%, da molti ritenuta critica, dei rendimenti decennali.
 
Consistenti deflussi di capitale dalle obbligazioni EM e per la prima volta anche dalle azioni EM
Per la prima volta da tempo ci sono stati deflussi non solo dalle obbligazioni EM ma anche dalle azioni EM. Generalmente, la volatilità delle valute finora si è però mantenuta entro limiti abbastanza contenuti, non si può quindi parlare di “panico”.
In termini storici, i movimenti dei tassi di cambio provocano movimenti dei rendimenti obbligazionari locali nei paesi emergenti, e non viceversa, come spesso ritenuto. Le opinioni sono molto divergenti sulla futura direzione dei movimenti del dollaro. Argomenti plausibili esistono sia per una continuazione del rialzo sia per una stagnazione o un calo. Per il momento la via più facile sembra però essere quella verso l’alto. In questo caso i titoli degli EM dovrebbero tendenzialmente rimanere sotto pressione. Bisogna considerare che gli USA sono molto più avanti nel ciclo congiunturale rispetto al resto del mondo e la riforma fiscale rafforza ulteriormente questo effetto. Di conseguenza, sia il differenziale di crescita che quello dei tassi d’interesse potrebbe di nuovo spostarsi maggiormente a favore degli USA, cosa che supporterebbe il dollaro. Sempre che non si crei una spirale tra riacquisti di dollari e ulteriore rafforzamento del dollaro, non si dovrebbe pertanto dare troppa importanza ai movimenti delle ultime settimane.
 
Il dollaro resta un fattore chiave
In fondo, il dollaro USA è all’incirca dove era già 12 mesi fa e i premi di rendimento delle obbligazioni EM sono ancora su livelli storicamente molto bassi. Va sottolineato che, nonostante il dollaro più forte abbia continuato a salire, anche il prezzo del petrolio lo ha fatto. A metà maggio il greggio è salito a 80 dollari/barile (brent). Con ogni probabilità, il motivo principale, oltre al persistente calo della produzione in Venezuela, va ricercato soprattutto nell’intensificarsi dei segnali di peggioramento dei rapporti tra USA, Israele e Arabia Saudita nei confronti dell’Iran. I mercati si erano preparati, e a ragione visto quanto accaduto, al fatto che il presidente americano Trump si sarebbe ritirato dall’accordo multilaterale con l’Iran. Se si mettono insieme il discorso di Trump, le sue richieste praticamente inaccettabili per l’Iran e le dichiarazioni degli ambienti a lui più vicini, allora l’annuncio delle sanzioni massicce contro l’Iran dovrebbero soltanto essere l’inizio di un nuovo tentativo di imporre un “cambiamento di regime” a Teheran. Anche nei confronti della Corea del Nord, nonostante ulteriori concessioni da parte del Nord, le possibilità di una soluzione politica sono ancora una volta diminuite. Si potrebbero dunque riassumere nel seguente modo le recenti dichiarazioni di Trump e del suo consigliere per la sicurezza Bolton: O un accordo alle condizioni dettate dagli USA o la “soluzione libica”. Di conseguenza, anche a livello geopolitico per ora non ci sono segnali di distensione.

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