La class action italiana non soddisfa tutti

Dal 1° luglio entrerà in vigore la nuova versione dell’azione collettiva voluta dal governo e che ha ricevuto l’approvazione della commissione industria del Senato.

Sono tre le aree di diritti che possono essere tutelate. Partiamo da quelli relativi a danni provocati da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. In riferimento a questa fattispecie toccherà alla magistratura verificare la coerenza tra mezzo e interesse fatto valere. Un ruolo inusuale per il nostro ordinamento, che porta alla realizzazione di quello che è un abbozzo di giudice specializzato in economia, forse l’aspetto più originale di tutta la riforma.

In secondo luogo abbiamo i diritti identici che spettano ai consumatori di un medesimo prodotto. Una tipologia casistica che non richiede l’esistenza di un contratto tra le parti e che vede al suo interno la possibilità di rivalsa collettiva contro l’impresa che ha messo in circolazione merce difettosa o addirittura.

Veniamo ora all’aspetto che maggiormente coinvolge il mondo finanziario. Trattasi della tutela dei diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che si trovano, nei confronti di una stessa impresa, nella medesima situazione. Vengono chiamati in causa anche i contratti conclusi attraverso moduli e formulari e quelli per adesione sulla base degli articoli 1341 e 1342 del cc; una fattispecie prevista all’interno di diversi servizi bancari ed è in questo contesto che si colloca l’eventuale profilo di responsabilità per negligenza.

Sembrano quindi sussistere gli strumenti per numerose azioni collettive, ma bisogna considerare che i default avvenuti prima del 30 giugno 2008 non sono compresi nella class action all’italiana. Un limite che dovrebbe impedire le azioni collettive nei confronti dei crack del recente passato, come ad esempio Parmalat. Come spesso accade in Italia, ormai è troppo tardi.

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