a cura di Marzotto Sim
Il momento di estrema volatilità che stiamo vivendo in questi giorni sui mercati obbligazionari, ed in particolare su quelli italiani, sta creando grande e giustificata ansietà tra gli investitori. Il timore è evidentemente quello di una spirale politico-economica fuori controllo, che crei i presupposti per uno scenario simile a quello della Grecia di tre anni fa, con l’aggravante che l’Italia è molto, molto, più grande.
In quest’ottica proviamo a guardare agli eventi di questi giorni e a dare una lettura del comportamento dei due principali attori del confronto in atto: da un lato le forze politiche uscite vincitrici dalle elezioni di marzo, dall’altro l’insieme di attori ed operatori interessati a mantenere la stabilità e il rispetto delle “fiscal compact”, che potremmo chiamare “europeisti”. Proviamo innanzitutto a metterci nei panni di chi ha tentato di formare il governo.
E’ plausibile che un obiettivo fondamentale di queste forze politiche sia quello di ottenere concessioni da parte dell’Europa sul lato della spesa pubblica e delle politiche di bilancio. Premettendo che, seppure con modalità e toni diversi, questo era stato un intento anche di altri governi italiani, il compito non è dei più facili, visto l’atteggiamento rigoroso che le autorità europee hanno fin da sempre tenuto su questi temi.
Come in qualsiasi fase iniziale di trattativa quindi, la chance migliore per ottenere dei risultati è quella di presentarsi con un atteggiamento molto intransigente e duro, al fine di spaventare la controparte. Nel caso in questione, non è così illogico presentarsi al tavolo della trattativa lasciando intendere di essere pronti a tutto, anche ad uscire dall’Euro (anche se veramente non lo si è), se le richieste di maggiore flessibilità non saranno assecondate.
Seguendo questo ragionamento, la nomina di Paolo Savona a Ministro dell’Economia non appare così insensata; non tanto nell’ottica di preparare un’uscita dall’Euro, quanto in quella di ottenere maggiori concessioni. Passando dalla parte degli europeisti, l’interesse è evidentemente quello di contenere al massimo qualsiasi richiesta di deroghe alle regole prestabilite e alla disciplina fiscale.
In quest’ottica, l’attuale fase di volatilità rappresenta un elemento che indebolisce la controparte e agisce come una sorta di “barriera preventiva” a qualsiasi richiesta. E’ abbastanza logico quindi che il fronte degli europeisti, tra i quali va inclusa di diritto la BCE, non abbia alcun interesse a contenere le oscillazioni di mercato; tanto maggiori sono queste oscillazioni tanto minore è la forza contrattuale dell’avversario.
Ammettendo per ipotesi che le supposizioni precedenti siano corrette cosa ci si può aspettare sui mercati?
Difficile ovviamente fare previsioni, tuttavia proviamo ad azzardarne alcune:
- La volatilità continuerà per almeno diverse settimane;
- Le forze europeiste continueranno ad alimentare (o a non contenere) la speculazione;
- La BCE, almeno in una prima fase, probabilmente non interverrà più di tanto;
- Le forze politiche italiane vincitrici delle elezioni di marzo tenteranno di resistere alla pressione dei mercati, non facendo dichiarazioni “distensive”;
- Se però, oltre certi livelli di tensione, dovessero cominciare a temere un calo di consensi, è plausibile che prima o poi queste dichiarazioni distensive comincino ad arrivare.
In generale, considerando anche la combinazione di strumenti di contenimento del rischio attivati in Europa dopo le crisi del 2008 e 2011, la probabilità di default dell’Italia resta piuttosto bassa, a meno ovviamente di comportamenti molto aggressivi dai politici italiani.
Comportamenti così aggressivi però, rischierebbero di essere anche molto controproducenti per le stesse forze politiche. Nel medio termine questa forse è la considerazione più rassicurante.