Alla fonte dei mercati

a cura di Aqa Capital

L’America è sempre più lontana. I dazi imposti da Trump a mezzo mondo stanno portando il mondo sull’orlo di una guerra commerciale. Ultimo appello in Canada. L’aria fresca del Quebec non sembra influire molto sull’umore dei ministri che stanno partecipando al G7 finanziario in preparazione del “vero” G7 (in calendario per l’ 8 e il 9 giugno).  Anzi il clima fra i partner è sempre più gelido.  Per ora la tassa “trumpiana” consiste in aliquote sull’import di acciaio (25%) e alluminio (15%) per «proteggere gli Usa» dai mercati concorrenti.  Alle ritorsioni europee, Trump ha già pronto il contrattacco con un aumento dei dazi sull’import di auto al   25%, oggi sono al 2,5%. Secondo alcuni istituti di ricerca l’effetto sarebbe una riduzione dell’export di veicoli negli Stati Uniti del 50% (-29 miliardi di dollari) per l’Unione Europea e del 54% (-19 miliardi) per la Germania.
La tensione sta salendo anche a Bruxelles, dove il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha parlato di relazioni transatlantiche «annuvolate» dall’atteggiamento «discutibile» di Trump verso la Ue.  Juncker ha aggiunto «come Trump difende con le unghie gli interessi americani, anche noi difendiamo gli interessi europei”, perché “’Prima l’America’ non deve voler dire ‘L’Europa per ultima’». Junker ha fatto anche un appello alla coesione nella Ue, sconsigliando di «cedere alla tentazione di concludere accordi bilaterali con gli Usa».
Il fronte più caldo, soprattutto per dimensione di interscambio è la Cina, dove si parla della guerra di 100 miliardi, a tanto ammonterebbero i dazi a cui punta Trump per riequilibrare i 357 miliardi di deficit commerciale. A sua volta Pechino, parla di dazi di altrettanto valore. Gli americani sono pragmatici: in assenza di passi concreti  nel dialogo tra i due Paesi, scattano  dazi automatici. La Cina al contrario vuole rassicurazioni.
Tutti i ministri che saranno  presenti  al G7 hanno espresso all’unanimità i timori su misure che «rischiano di minare la fiducia» nel commercio globale. Oltre a scatenare una serie di ritorsioni contro le esportazioni degli Usa.  Anche sul fronte regolamentazione, gli Usa si muovono in controtendenza. Nei giorni scorsi la banca centrale americana (Fed) ha dato una picconata – non è la prima – all’architettura dei controlli bancari – la legge Dodd-Frank – disegnata dal presidente Obama nel 2010 all’indomani della Grande Crisi del 2008. È stata annacquata, la normativa – cosiddetta Regola di Volcker – che mira a ridurre l’assunzione di rischio da parte delle banche quando operano sui derivati. Dopo il caso Deutsche Bank all’Europa sembra una proposta inverosimile.  Ma questa è un’Europa che tentenna, alla ricerca di sé stessa. Dopo sei mesi per la formazione del governo tedesco, in Spagna Rajoy viene sostituito da Sanchez, l’Italia, passa dall’ipotesi Cottarelli al governo Conte. Lo spread si riduce ma la tensione sui periferici rimane alta.
Questo la politica ma economia e mercati corrono verso tutt’altra direzione. Il Nasdaq ha aggiornato i massimi storici. Apple punta a 1000 miliardi di capitalizzazione, record per Amazon e Microsoft. In Usa il  tasso di disoccupazione è sceso al 3,8% rispetto al 3,9% previsto. Gli economisti si attendevano la creazione di circa 188mila posti di lavoro, ma il rapporto mensile parla di 223mila persone neo – occupate.
Nell’area euro a maggio l’inflazione vola all’1,9%. Un macigno per la Bce che si riunirà la prossima settimana. Ormai è stato  raggiunto l’obiettivo ufficiale. Gli spazi di manovra per Mario Draghi sono limitati. A scaldare i prezzi è stato il greggio anche se ora Arabia Saudita e Paesi produttori puntano ad aumentare gli investimenti nella ricerca e dunque produzione. Negli Usa, intanto, ferve l’attività estrattiva: la scorsa settimana gli impianti di trivellazione attivi erano 861, massimo dal marzo del 2015.
Pensare a un’Europa senza Usa e viceversa è come pensare che affondato il Titanic, nessuna nave ha più solcato l’Atlantico. Le due sponde rimarranno sempre unite è solo un momento, bisogna solo approfittarne. Da tempo crediamo nei tech Usa perché, con cloud e software, sono più leggeri di ogni barriera commerciale, non temono dazi e non affonderanno mai nell’Oceano.

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