Il barometro dei portafogli italiani

A cura di di Natixis Investment Managers

Il tema principale da noi osservato nei portafogli globali nel corso dell’ultimo anno è stato il crollo del rischio calcolato e il concomitante incremento delle esposizioni verso gli asset rischiosi. Questo fenomeno è stato descritto nei dettagli nel nostro Barometro sui Portafogli Globali di gennaio 2018. Va detto però che è stato avvertito solo in parte nei portafogli italiani. Infatti, nell’ultimo anno, nonostante lo sprofondamento della volatilità e del VaR, non si è osservata una variazione significativa delle allocazioni di portafoglio per conto degli investitori italiani, né nel 2017 né nel 2018. In effetti, in base ai nostri dati, le asset allocation sono rimaste decisamente stabili nel tempo. Mentre gli investitori internazionali sembrano avere scelto di esporsi di più verso gli asset rischiosi considerando la situazione di mercato relativamente favorevole, i portafogli italiani a noi affidati si sono rivelati molto più insensibili al regime di bassa volatilità. E la flessione del rischio calcolato è dovuta al calo della volatilità e delle correlazioni registrato nel periodo, al punto che il Value at Risk dei portafogli italiani è sceso a livelli senza precedenti.

È sorprendente notare quanto le asset allocation siano state simili e stabili negli ultimi 12 mesi, nonostante le mutate condizioni del mercato. Di seguito presentiamo i grafici a torta dell’asset allocation del periodo T2 2016 – T1 2017 e il confronto tra questo e il periodo T2 2017 – T1 2018, con riferimento a tutti i portafogli moderati italiani ricevuti nel periodo considerato. Sono praticamente identici! Di seguito presentiamo il dettaglio della ripartizione in sottocategorie, che riconferma gran parte dei temi già osservati nei portafogli italiani:

Asset Allocation di dettaglio dei portafogli moderati italiani

Gli investitori italiani scelgono ancora la sovraesposizione verso gli asset europei rispetto ai benchmark tradizionali, a causa del rischio di cambio (soprattutto verso USD) insito nelle allocazioni che replicano gli indici di riferimento. Mentre negli anni passati questa scelta si era rivelata controproducente, la recente sovraperformance europea ha aiutato alcuni portafogli a battere i benchmark tradizionali in termini risk-adjusted.

I fondi di asset-allocation dinamica, o fondi multi-asset, continuano ad avere un posto rilevantissimo nei portafogli italiani, dove rappresentano in media circa un quarto dell’asset allocation. Nel complesso, questi fondi hanno registrato buoni risultati, grazie alla buona performance degli asset tradizionali (azioni e obbligazioni). Tendono però a essere i fondi che offrono la correlazione più elevata con i portafogli italiani, ma un vantaggio infinitesimale in termini di diversificazione. Sono inoltre correlati tra loro, avendo assunto esposizioni simili nel corso degli ultimi anni (ved. matrice di correlazione riportata di seguito). Gli investitori che hanno acquistato fondi multi-asset aspettandosi una diversificazione potrebbero uscirne delusi. Se i mercati dovessero volgere al peggio e/o se dovessero salire le correlazioni tra obbligazioni e azioni, riteniamo che i fondi multi-asset farebbero aumentare il rischio anziché ridurlo. I fondi che potrebbero apportare più vantaggi di diversificazione ai portafogli sono molto probabilmente i fondi multi-asset caratterizzati da una maggiore flessibilità in termini di asset allocation e da una certa capacità di copertura.

Le strategie alternative continuano invece a offrire l’allocazione con la minore correlazione con le asset class tradizionali. Però sono presenti nei portafogli italiani in proporzione decisamente inferiore ai fondi multi-asset.

Nell’ultimo anno con i clienti italiani ci siamo concentrati su due temi: il primo è la sostenibilità del portafoglio tradizionale “a bilanciere”, composto al 70% da titoli governativi EUR e al 30% da azioni, mentre il secondo è la ricerca di soluzioni a bassa volatilità per clienti investiti in depositi che, attualmente, offrono rendimenti decisamente inferiori all’inflazione, pur presentando tolleranze al rischio superiori a quelle di un semplice investimento in liquidità.
Il mix tradizionale 70% obbligazioni, 30% azioni, che si è comportato così bene fino a tempi recenti, offre oggi, rispetto ai risultati di mercato attuali, le prospettive di rendimento più basse nell’arco dei prossimi anni.

Tra il 2004 e il 2012, questa asset allocation è riuscita nel complesso a generare un rendimento sufficiente a superare del +3% il livello attuale dell’inflazione dei prezzi al consumo italiano. Ora, però, il rendimento è sceso sotto al 2% e sembra molto improbabile che possa riuscire a compensare l’inflazione, men che meno a batterla. Alla luce delle nostre analisi di portafoglio, delle ricerche di mercato e dell’attuale comportamento degli investitori, abbiamo lavorato con i clienti per aiutarli a reperire le soluzioni più idonee per migliorare la propria asset allocation in un simile contesto. Vi forniamo alcuni esempi dettagliati nei paragrafi seguenti dedicati all’obbligazionario e all’azionario.

In merito al secondo tema, si stima che, attualmente, oltre il 30% dei risparmi delle famiglie italiane sia investito in depositi che offrono un rendimento praticamente pari a zero1 (per circa 1.300 miliardi di euro di depositi). Quest’anno sono aumentate le richieste di analizzare portafogli prudenti con basso rischio, che riescano però a raggiungere almeno gli attuali livelli dell’inflazione italiana, allo scopo di costruire un portafoglio d’investimento alternativo rispetto alla liquidità. A partire dal periodo post-crisi, i tassi sui deposti a breve termine (rappresentati qui dal Libor 1M EUR) hanno offerto costantemente rendimenti inferiori all’inflazione, comportandosi quindi in modo diametralmente opposto rispetto al periodo precedente alla crisi.

Per gli investitori, il nocciolo della questione è questo: passando dai depositi agli investimenti il rischio nominale per l’investitore sale; però, così facendo, è probabile che diminuisca il rischio reale, perché diventa potenzialmente possibile realizzare rendimenti superiori all’inflazione. Sta all’investitore capire quale sia la soluzione più vantaggiosa. A titolo d’informazione, le fasi di repressione finanziaria (con tassi d’interesse sono al livello dell’inflazione) possono durare a lungo e avere effetti devastanti sul capitale. Per esempio, negli Stati Uniti, tra maggio 1922 e dicembre 1951, la liquidità (Buoni del Tesoro a 30 giorni) perse oltre il 48% del suo valore in termini reali.

Temi del mercato obbligazionario e azionario

Anche se non consiglieremmo mai ai nostri clienti di spezzettare e di modificare costantemente le loro posizioni in portafoglio in base alle notizie e al sentiment più recenti, pensiamo però che determinati cambiamenti strutturali che attraversano i mercati dovrebbero perlomeno indurre ad alcune riflessioni sulla costruzione del portafoglio. Le tendenze osservate sui mercati obbligazionari negli ultimi due anni hanno stravolto radicalmente il paesaggio per gli investitori. Una serie di rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve e l’appiattimento della curva dei rendimenti hanno modificato completamente il profilo rischio/rendimento di molte strategie Fixed Income. Ciò ha prodotto un effetto a catena sul costo delle coperture e, di conseguenza, sui rendimenti attesi per gli investitori. La costruzione di portafogli o di segmenti obbligazionari si fa sempre più complessa e gli investitori devono riuscire a trovare il giusto livello di rendimento a fronte del giusto livello di rischio, conservando comunque un certo grado di diversificazione.

Sul versante azionario gli investitori si trovano ad affrontare uno dei mercati rialzisti più lungo di sempre, con valori che si sono portati sopra la media per numerosi parametri. Il 2018 ha anche determinato un cambiamento in termini di comportamento, con indici che si sono spostati dai minimi storici della volatilità a livelli superiori alla media. Inoltre, il settore tecnologico acquisisce man mano una quota sempre maggiore negli indici globali e, di conseguenza, nelle allocazioni dei clienti.

Mercato obbligazionario

I recenti rialzi dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve hanno prodotto due conseguenze principali sui mercati e per gli investitori europei. In primo luogo, i costi di copertura sono aumentati vertiginosamente (fino a raggiungere il 2,7% circa) per gli investitori europei in cerca di diversificazione in strumenti USD. In secondo luogo, negli Stati Uniti la curva dei rendimenti si è appiattita su livelli che non si vedevano dal 2007, appena prima della crisi finanziaria.

Per sfortuna degli investitori italiani (e di quelli europei in generale), questa situazione non si è tradotta necessariamente nei tanto agognati maggiori rendimenti, naturalmente a meno che gli investitori non fossero disposti a correre più rischi sui cambi. Il rendimento del 3% circa, di cui tanto si parla, offerto dagli US Treasury è un’illusione , tranne per chi è disposto a rischiare sul dollaro USA. In effetti, tenendo conto dei costi di copertura, il rendimento effettivo realizzabile sugli US Treasury è attualmente inferiore a quello disponibile sui Bund, per non parlare neanche dei BTP.

Per la prima volta nell’arco di alcuni anni, gli investitori europei sono impantanati nei bassi rendimenti in valuta locale e non possono permettersi il lusso di diversificare sugli Stati Uniti per conquistare rendimenti maggiori. Benché non sia identico, anche il quadro del mercato del credito è molto simile: infatti, al netto dei costi di copertura, tanto l’Investment Grade quanto l’High Yield offrono ben pochi spiragli di ripresa dei rendimenti. Ci preoccupano in particolare gli investitori che hanno acquistato prodotti obbligazionari coperti in EUR; infatti, negli ultimi 2 anni, il costo della copertura potrebbe avere già assorbito tutto il potenziale incremento della performance; questi investitori si dirigono ora verso rendimenti decisamente inferiori alle attese, anche a dispetto della possibile performance positiva realizzata in passato. Questa situazione riguarda in particolare gli investitori italiani più prudenti che hanno investito circa il 14% in prodotti obbligazionari con copertura in euro rendono conto esattamente dei rendimenti che rimangono al netto dei costi di copertura? Non ne siamo sicuri.

Ciò non significa però che sul mercato non ci sia performance. Per esempio, l’emissione di bond a 100 anni da parte dell’Argentina offre attualmente un rendimento intorno all’8% in USD2; oggi gli US CCC vengono scambiati su rendimenti effettivi dell’11% circa. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal rischio – certamente non trascurabile – che bisogna accettare per generare questa performance. Che cosa stanno facendo, allora, gli investitori per continuare a generare yield/rendimenti, mantenendo comunque le caratteristiche classiche di bassa volatilità e basse correlazioni del segmento obbligazionario? La risposta è duplice ed è reperibile sia all’interno che all’esterno dell’universo Fixed Income: Gli investitori stanno accorciando le duration e investono sulla parte a breve della curva, dove ipotizzano di trovare più valore a causa del profilo più piatto delle curve (cioè, rendimenti simili a fronte di un minor rischio di duration) Gli investitori continuano a usare strategie alternative a bassa volatilità in sostituzione dei tradizionali strumenti obbligazionari. Seguiamo con particolare attenzione questa tendenza ormai da alcuni anni. Per esempio negli Stati Uniti, dove le curve si sono appiattite notevolmente, gli investitori hanno reagito acquistando prodotti a scadenza più breve. Secondo EPFR Global, da inizio anno si sono registrati flussi in uscita dai fondi corporate USA a lungo termine per un importo superiore a setteardi di dollarie sono stati investiti circa quattrodi di dollari di corporate USA a breve termine.

Abbiamo osservato un interesse crescente per il debito societario a breve termine in valuta forte dei mercati emergenti. Questa asset class è esposta verso due rischi principali: il rischio di tasso USA e il rischio di credito dei mercati emergenti. Sono queste le caratteristiche che hanno attratto gli investitori; a fianco del rialzo dei tassi da parte della Fed, i rendimenti di questa asset class sono saliti e sono riusciti in qualche modo a compensare il forte incremento dei costi di copertura sostenuti dagli investitori europei; in secondo luogo, il rischio di credito dei mercati emergenti non è sincronizzato con il rischio di credito USA/Europa e riesce dunque a offrire un certo grado di diversificazione. Come indicato dal grafico seguente, il rendimento yield-to-worst coperto in euro debito societario a breve dei paesi emergenti è nettamente superiore a quello delle sue controparti europee con scadenze analoghe. Non vi è invece differenza nel rischio realizzato (volatilità) inserito nei portafogli italiani, a causa della bassa volatilità e della bassa correlazione del nostro portafoglio modello moderato italiano.

D’altro canto, abbiamo rilevato che gli investitori – italiani ed europei – si stanno allontanando progressivamente dall’obbligazionario per avvicinarsi alle strategie alternative. Come mostrato nell’istogramma seguente, negli ultimi tre anni gli investitori hanno scelto in genere di ridurre l’esposizione verso il mercato obbligazionario e monetario e di aumentare le strategie alternative inserite in portafoglio.

Ribadiamo che, a nostro avviso, affidandosi agli strumenti alternativi, gli investitori stanno tentando di replicare nel portafoglio le caratteristiche che, tradizionalmente, vengono svolte dagli asset obbligazionari (bassa volatilità, bassa correlazione). Per l’Italia, si delinea un fenomeno particolarmente interessante: all’interno del segmento degli alternativi, gli investitori hanno scelto di sovraesporsi verso la categoria “altri alternativi”, principalmente verso fondi Global Macro. Che sia un caso o meno, alcune nostre ricerche recenti hanno evidenziato che questa è proprio la strategia che, statisticamente e nel lungo termine, ha contribuito maggiormente all’efficienza dei portafogli europei. Come mostrato nella tabella seguente, l’aggiunta delle strategie alternative ha aiutato a migliorare il profilo rischio/rendimento per gli investitori europei. Tuttavia va sottolineato che l’unica chiara eccezione in termini di efficienza è rappresentata dalla categoria Global Macro che, nel lungo termine, ha aggiunto valore su tutti i parametri calcolati.

Mercato azionario

Pur non superando il 20-25% dell’asset allocation nei portafogli moderati italiani, l’esposizione diretta all’azionario attraverso fondi, ETF e singoli titoli azionari rappresenta circa il 50% del rendimento e della volatilità di questi portafogli. In generale, oggi gli investitori si preoccupano soprattutto di quale sarà la direzione futura dei mercati azionari, tenuto conto del forte rialzo che registrano da lungo tempo. Per esempio, negli Stati Uniti l’indice Dow Jones Industrial Index ha attraversato il più lungo periodo rialzista di sempre, realizzando la massima performance cumulata dalla Seconda Guerra Mondiale.

Non abbiamo la sfera di cristallo e non possiamo prevedere quando arriverà la fine di questo mercato rialzista. Il suggerimento che ci sentiamo di dare è di diversificare quanto possibile, sia in termini di qualità che di quantità, su aree geografiche, stili, fattori e settori diversi. Sul fronte della diversificazione, uno dei rischi che si celano nell’azionario è la crescente concentrazione dei titoli tecnologici. Mentre è risaputo che mega-cap come Google, Facebook, Amazon, Apple ecc… e i tecnologici in generale rappresentano oggi circa il 25% degli indici dei titoli USA a grande capitalizzazione, lo stesso fenomeno si sta verificando anche sui Mercati Emergenti, dove poco più del 27% dell’indice MSCI Emerging Markets è costituito da titoli tecnologici quali Samsung, Alibaba e Baidu. Allora proviamo a chiederci: gli investitori si rendono conto della crescente influenza che questi titoli stanno avendo sugli indici e di come questo si ripercuota sui fondi indice e sulle strategie imperniate sui benchmark? Questi titoli continueranno ad attrarre rendimento anche in futuro? Anche in questo caso non possiamo averne la certezza ma, considerando il peso crescente di questo settore all’interno degli indici, i tecnologici dovranno riuscire a superare prove sempre più impegnative sul piano della performance, proprio per non interrompere la serie positiva degli indici.

Alla luce del contesto attuale, gli investitori hanno iniziato a riflettere con più attenzione sulla diversificazione nei segmenti azionari e abbiamo visto crescere la domanda di strategie azionarie più flessibili, in grado di variare l’esposizione al rischio azionario; nel frattempo, sono emersi anche altri fattori nel panorama azionario – per esempio i fondi ESG (improntati a principi etici, sociali e di governance). Come mostrato nella tabella seguente, il profilo rischio/rendimento di questo tipo di strategie è stato indubbiamente migliore di quello della maggior parte dei fondi azionari tradizionali a cui gli investitori italiani hanno fatto spesso ricorso negli ultimi tre anni per la loro asset allocation.

Mentre, da una lato, una strategia azionaria flessibile può contribuire a minimizzare la volatilità e i flussi dei rimborsi, le strategie di tipo ESG possono aiutare ad attenuare alcuni dei rischi nascosti di cui spesso non ci rendiamo conto, ma che hanno avuto effetti negativi su titoli come BP nel 2010 e Volkswagen nel 2016. Nel complesso, riteniamo che, per tutti i motivi qui richiamati, gli investitori dovranno continuare ad affrontare un contesto decisamente impegnativo. Pensiamo però che, attraverso il nostro approccio che sceglie di dare priorità al rischio e di massimizzare la diversificazione, sia possibile aiutare gli investitori a costruire portafogli più solidi e a produrre risultati che soddisfino i loro obiettivi.

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