Stagionalità: mito o realtà?

Di Luca Tobagi, Investment Strategist di Invesco

I mercati finanziari hanno avuto, nella storia, andamenti che si sono ripetuti con notevole regolarità. Anche se è difficile spiegare le ragioni di questa stagionalità, è interessante e utile conoscerla meglio. Mi chiedo come sarebbe vivere in un mondo in cui sia sempre giugno. Molti investitori non vorrebbero porsi questa domanda, della scrittrice Lucy Maud Montgomery, autrice di Anna dai capelli rossi. Perché tanti sono fedeli al celebre detto inglese Sell in May and go away, and come back on St Leger’s day. La corsa di cavalli di St Leger, la più antica delle classiche britanniche, si corre ogni anno in settembre. La sua prima edizione fu nel 1776 e, a distanza di tanti anni, la storia dà ragione a questo detto. Stagionalità, insomma, non è una parola vuota per i mercati finanziari. Osserviamo nel primo grafico i rendimenti medi mensili delle principali attività finanziarie rischiose su un arco temporale lungo. Si parte dal 1970 per alcuni indici, per quelli con la serie più breve abbiamo almeno vent’anni di dati.

Due cose balzano agli occhi. Innanzitutto, i rendimenti medi da novembre ad aprile sono tutti positivi, e in ottobre solo il Topix in Giappone e l’indice Russell 2000 delle piccole capitalizzazioni USA sono negativi. In secondo luogo, i mesi da maggio a settembre non hanno una tendenza rialzista, ma non sono necessariamente negativi. Anzi: si osserva, è vero, una maggiore variabilità, ma i segni positivi predominano. Solo settembre è diffusamente negativo: ecco l’opportunità di rientrare nei mercati nel giorno di St Leger.

Ci siamo occupati in passato della natura ingannevole delle medie statistiche1. In questo caso, chiunque abbia esperienza di mercati sa che possono capitare periodi di discesa per vari mesi consecutivi, magari quelli il cui andamento storico era positivo, e viceversa. Senza dover andare lontano, il 2017 è stato un anno che non ha seguito gli schemi stagionali classici.

Settembre 2017 è stato più positivo della media storica. Anche luglio e agosto hanno esibito una forza maggiore del solito. In marzo, novembre e dicembre, invece, varie asset class hanno perso terreno quando la norma storica le ha viste apprezzarsi.

Gli investitori cercano da anni una spiegazione per questa regolarità empirica, ma forse non esiste. I risultati dell’interazione di operatori diversi sui mercati talvolta sono difficili da ricostruire quanto da prevedere. Sia come sia, ad oggi anche il 2018 si è comportato in modo inusuale. Febbraio e marzo sono stati mesi di correzioni azionarie rilevanti. Potremmo aver “pagato dazio” per un’estate 2017 insolitamente positiva. Ora il ritorno di fattori di tensione esogeni, come il rischio politico, potrebbe riportare sul mercato fasi di nervosismo “di stagione” fra maggio e settembre, per poi lasciare campo libero a un più tipico rally di fine anno. Il passato non è garanzia del futuro, ma ci sono possibilità che vada così. Mark Twain scrisse: “Ottobre: questo è uno dei mesi particolarmente pericolosi per investire in azioni. Gli altri sono luglio, gennaio, settembre, aprile, novembre, maggio, marzo, giugno, dicembre, agosto e febbraio.” Un modo brillante per dire che nei mercati le scorciatoie non esistono e che dove si trovano opportunità ci sono anche rischi. Lo sapevamo già e continuiamo a pensare che il 2018 abbia il potenziale per essere un buon anno. Ma fa sempre bene ricordarlo.


 

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