Tensioni geopolitiche e rischi di scarsa liquidità del dollaro pesano sugli Emergenti

A cura di Raiffeisen Capital Management
Nell’ultimo mese azioni e obbligazioni della maggior parte dei paesi emergenti hanno ceduto fortemente, con perdite in alcuni casi a due cifre percentuali. Per contro, i mercati azionari sviluppati hanno addirittura guadagnato leggermente a maggio, grazie in primo luogo ai rialzi dei corsi negli USA. Allo stesso tempo si osserva una netta differenziazione tra i diversi paesi emergenti. Specialmente le valute e i mercati che sono strutturalmente più deboli e dipendono maggiormente dal capitale straniero sono finiti sotto pressione, per esempio, la Turchia, il Brasile e l’Argentina. D’altra parte, azioni russe, azioni A cinesi e la Borsa indiana hanno tenuto, registrando addirittura lievi guadagni. Il rafforzamento del dollaro USA e l’aumento dell’avversione al rischio tra gli investitori hanno creato un contesto poco favorevole per i Mercati Emergenti.
I movimenti sui mercati non andavano imputati a improvvisi cambiamenti fondamentali nell’economia, ma sono stati provocati soprattutto dagli andamenti politici (globali). La sospensione unilaterale dell’accordo con l’Iran da parte degli USA, le crescenti tensioni di politica commerciale e i piani del nuovo governo italiano sono stati i principali fattori negativi.
I deflussi di capitale continuano, ma il loro volume è modesto . I deflussi di capitale dalle obbligazioni e azioni degli Emerging Market sono continuati per tutto il mese di maggio, il loro volume rimane, tuttavia, entro limiti molto ragionevoli. Non si può dunque parlare di panico. In alcuni mercati gli operatori sono però diventati sensibilmente più nervosi, per esempio, in Argentina, Turchia e sempre più anche in Brasile.
Il differenziale dei tassi e della crescita potrebbe spostarsi ulteriormente a favore degli USA. Di recente, in diversi paesi emergenti vi sono stati appelli che hanno invitato la banca centrale americana (Fed) a prestare maggiore attenzione alle possibili ripercussioni globali della sua politica monetaria. Questo vale meno per i rialzi dei tassi d’interesse che per l’avvio della riduzione del bilancio fortemente gonfiato della Fed. Il presidente della banca centrale indiano ha sottolineato che il crescente fabbisogno di finanziamento del governo USA fa salire la domanda di dollari USA e che allo stesso tempo la Fed non è più un acquirente, ma addirittura un venditore netto di titoli di Stato USA.
Di conseguenza, un volume sempre più consistente di dollari confluirebbe negli Stati Uniti dal sistema finanziario globale, il che farebbe aumentare il cambio del dollaro e salire i costi di finanziamento per i paesi emergenti. Bisogna vedere, se la banca centrale USA seguirà questo ragionamento. Per quanto riguarda la sua politica dei tassi, ultimamente si è assistito piuttosto a un certo rilassamento tra gli operatori di mercato. Dato che la pressione salariale negli USA continua a mantenersi nei limiti e le recenti dichiarazioni della Fed sono state interpretate come meno restrittive.
Sul piano economico la ripresa congiunturale globale più o meno contemporanea potrebbe perdere qualcosa del suo sincronismo mostrato finora. Specialmente le misure del governo cinese di rallentare gradualmente la crescita del credito potrebbero mostrare degli effetti nei prossimi mesi e trimestri. Se, di conseguenza, la crescita delle importazioni verso la Cina dovesse calare, in cambio ciò avrebbe un impatto negativo sulle esportazioni e la congiuntura di altri paesi emergenti, ma anche di diversi mercati sviluppati, per esempio, la Germania.

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