L’arte della felicità

A cura di Aqa Capital
Antonia: Facciamo così: mi porti in un posto che le piace… anzi, in un posto che le ricorda qualcosa.
Sergio: Ma lei davvero non ha una meta?
Antonia: Ho solo una grande confusione in testa e un grande vuoto.
Sergio: Allora siamo in due. Le faccio strada.
Speaker: La strada è dritta e punta verso il baratro. Chi di noi singolarmente può cambiare davvero qualcosa? chi può invertire la rotta? Io, tu, magari quei mille vecchiacci ricchi sfondati ok; ma loro navigano nell’oro. Non hanno nessuna voglia di fare rivoluzione, sono pronti a sparare sulla folla per lasciare le cose come stanno piuttosto; anzi a pagare qualcuno, non hanno neppure voglia di sporcarsi le mani.
Sergio: E non pensi che a un certo punto qualcuno si ribellerà?
Speaker: Solo se qualcun’altro gli toglie i telefilm.

Citazioni  dal film: “L’arte della felicità” di Alessandro Rak.

Sei mesi fa, in tutte le sale operative, andavano a ruba le previsioni delle più blasonate banche d’affari. “Ora tocca all’Europa, Wall Street prenderà fiato”, “La Cina si surriscalda”. Questi in sostanza, erano le previsioni sull’anno che verrà. Siamo arrivati giugno: il Bitcoin è crollato del 57%, Nasdaq ha corso del 10%, DAX -5%. Petrolio +22%, oro  +4%, dollaro +2,5%.

E’ arrivata anche la tempesta sul debito pubblico italiano (a maggio il rendimento dei titoli a due anni è passato in poche sedute da -0,3% al 3%). Sul fronte emergenti, non ci siamo fatti mancare nulla, con il crollo di lira turca, peso argentino, rupia indiana schiacciate dal combinato (e inedito) mix del rafforzamento del dollaro e del prezzo del petrolio. Bene i Paesi legati al petrolio, Russia in prima linea.
Come sempre, guardandosi indietro a metà anno, sono poche le previsioni azzeccate. Anche le altre certezze date ormai per consolidate, si sono sciolte come un castello di sabbia costruito troppo vicino alla riva. La granitica Germania ha partorito un governo che per instabilità è paragonabile  a quelli italiani.  Vecchio di soli tre mesi, domenica notte, il governo tedesco si è trovato a fronteggiare le dimissioni del ministro dell’Interno Horst Seehofer (rifiutate prima come inaccettabili dal capogruppo del partito nel Bundestag, Alexander Dobrindt e poi ritirate dall’interessato) e il rischio di perdere l’appoggio dei cugini bavaresi della Csu.
Al ministro Horst Seehofer non sono piaciuti i risultati ottenuti dalla Merkel in Europa. Avrebbe voluto il via libera  per respingere i migranti alle frontiere e, in base agli accordi di Dublino, rispedirli nei Paesi di primo approdo. La Merkel non ha voluto (o potuto) imporlo anche all’Italia da dove arriva un gran numero di illegali residenti in Germania.
L’Europa non si sta spezzando su uno dei tanti  indici di bilancio previsto dalla Ue, vedi gli enormi debiti, ma sulla questione dei migranti.  Alcuni Paesi vogliono chiudere i confini, lasciando il problema a chi è più esposto sul mediterraneo. Una scusa? Presto per dirlo, ma solo sei mesi fa, tutti vedevano l’Italia fonte di eternna istabilità e la Germania, roccia indistruttibile. La situazione oggi è esattamente l’opposto, con il risultato di vedere un euro debole sul dollaro che, in fase di guerre commerciali, non guasta. L’Europa sta seguendo, in maniera involontaria, la strada decisa, consapevolmente, dalla Cina di fronte ai dazi Usa: non uno scontro diretto ma la svalutazione della moneta.
Intanto le differenze fra le due sponde dell’Atlantico si ampliano. Gli analisti di Standard&Poor’s  hanno rivisto al  rialzo le stime di crescita del PIL Usa per il secondo trimestre portandole al 3,9% dal 3,4 precedente. Per 2018 è attesa una crescita del 3% e del 2,5% per il 2019. Se la stima di S&P fosse corretta, si tratterebbe della crescita annualizzata (trimestre su trimestre moltiplicata per quattro secondo la metodologia USA) maggiore dal terzo trimestre 2014. Si sta progressivamente assistendo ad una convergenza del consenso verso le stime della Fed di Atlanta pari al 4,5%. Dalla Banca centrale Usa, gli analisti stimano, altri due rialzi quest’anno e 3 nel 2019. In Europa la crescita è ferma all’1,5%-2% e qualcuno vede lievi rallentamenti. La Bce, non pensa minimamente a un rialzo dei tassi, ma vuole rimanere accomodante. Sullo sfondo un prezzo del greggio non più ignorabile , per i suoi riflessi, sull’inflazione e un divario tra Wti (greggio Usa) e Brent (greggio del Mare del Nord) su livelli altissimi. Indice che, per ora i benefici dello shale gas Usa, se li godono solo gli Stati Uniti.  Sul fornte azionario, un ultimo dato, Wall Street dal 2009 a oggi ha guadagnato il 400%. Amazon, Facebook, Apple che sarebbero dovute crollare per i loro multipli elevati sono sempre lì, sui top.
Ora, ha forse ragione Antonia, che prende un taxi senza sapere la meta, ammetendo di avere una grande confusione in testa. Sembra di essere tornati agli anni 70, in Europa si rincorrevano gli hippy, in Usa un hippy di nome Steve Jobs, creava la Apple. La felicità non è una meta, è l’arte di vivere giorno per giorno e le aziende Usa sembrano in grado, giorno per giorno, di  costruire qualcosa di nuovo. Questa è la logica di un portafoglio che vuole essere felice, giorno per giorno passo dopo passo, senza credersi degli indovini su scenari futuri per poi vedere, sei mesi dopo, che nulla è andato come predetto.

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