Dalla zucca alla Banca dei Bitcoin

A cura di Forbes.it

Alzino la mano quanti, pur attratti dal mondo delle criptovalute, hanno preferito tenersene alla larga considerandola materia da addetti ai lavori. O quanti si sono invece interessati a tale mondo ricevendo però indicazioni vaghe dalla propria banca o dal proprio consulente finanziario, che hanno necessariamente dovuto fare i conti con l’opacità degli exchange dove le valute digitali sono scambiate, con un contesto normativo non chiaro e con una indubbia complessità del processo di investimento. Probabilmente è capitato a molti. Soprattutto in coincidenza con l’exploit di fine anno delle quotazioni di Bitcoin & Co. E forse è stata una fortuna, data l’altrettanto rovinosa caduta che ne è seguita. O forse no, perché, senza considerare i pionieri che si sono arricchiti comprando Bitcoin anni fa quando valevano solo qualche decina di dollari, al di là delle fluttuazioni pazze del mercato, le criptovalute rappresentano già una nuova asset class e soprattutto sono la punta dell’iceberg di un mondo, quello della blockchain, su cui anche le grandi istituzioni finanziarie stanno investendo pesantemente perché in potenza in grado di rimodellare l’intero sistema finanziario.

Come superare però i problemi legati alla semplicità e alla sicurezza? Se lo è chiesto, e non da oggi, l’uomo che più di ogni altro ha cambiato la banca in Italia. Era il 2013 quando Christian Miccoli, artefice del lancio italiano di Ing Direct e successivamente della creazione di CheBanca!, iniziava a studiare il mondo delle criptovalute.

Due anni dopo nasceva Conio, la startup fintech costituita con Vincenzo De Nicola e con la partecipazione di Poste Italiane (al 20% del capitale), che ha per obiettivo proprio rendere possibile l’acquisto, la vendita e il deposito di Bitcoin con la facilità con cui si effettua un bonifico online via app per smartphone. È quello che si potrebbe definire un approccio rassicurante alla modernità. Come quello che si ha entrando nella sede di Conio: si incontrano tanti ragazzi in t-shirt che lavorano in uffici dove il colore la fa da padrone, ma poi spunta Miccoli con giacca e cravatta, e soprattutto con una storia personale che fa essa stessa credibilità.

“Miccoli, ma per lei le lancette dell’orologio girano al contrario? Che ci fa alla guida di una startup fintech?”, chiedo. “Il desiderio di essere imprenditore di me stesso credo mi abbia sempre accompagnato e oggi le valute digitali racchiudono un grande potenziale, perché possono avere un impatto sulla finanza molto maggiore di quello che internet ha avuto sul banking”, esordisce. “E questo è un settore ancora tutto da creare. Non ci sono una Google e una Facebook: i giochi non sono fatti”. “E vuole fare la Google dei Bitcoin in Italia?”. “Il nostro obiettivo è essere un facilitatore. Per chi opera sulle valute digitali in autonomia oggi ci sono due limiti: devi avere una certa preparazione tecnica e non sei al riparo da una serie di rischi. Se tieni i tuoi Bitcoin su un exchange come se fossero in banca devi essere cosciente del fatto che ci sono delle differenze: mentre se la banca va in default hai tutte le tutele del caso, qualora fallisca un exchange i tuoi Bitcoin sparirebbero. Hai un vero e proprio rischio di credito. Allo stesso modo, nel malaugurato caso di scomparsa prematura, se la tua password non è affidata a un erede, tutto andrebbe perso.

In alternativa ci sono i wallet dove puoi depositare i Bitcoin, ma se perdi la chiave di accesso non la puoi recuperare. E se scompare l’azienda che ha creato il wallet scompaiono anche i tuoi Bitcoin. Oggi le soluzioni sul mercato non sono adeguate”. E quindi cosa si può fare? “Noi abbiamo trovato una soluzione: le tre chiavi”. Si spieghi meglio. “Conio è un’app che permette di acquistare Bitcoin su numerose piattaforme di exchange, come se fosse un normale cambio di valuta (è regolato dall’Uif, l’ex Ufficio italiano cambi) e di tenerli su Conio stesso. Le tre chiavi fanno sì che se il cliente perde la sua o l’azienda fallisce, la chiave è conservata in un luogo fisico e dunque recuperabile”. Perfetto. Sembra trovato l’uovo di Colombo per far sì che chiunque possa avvicinarsi alle criptovalute in sicurezza. Possibile però che uno come Miccoli si muova solo guardando al mercato target di coloro che si avvicinano a questo mondo?

“È una soluzione di sicurezza interessante anche per le istituzioni finanziarie. Perché se come banca voglio offrire un servizio di acquisto di criptovalute via exchange ai miei clienti devo garantire l’affidabilità del servizio e la sicurezza del bitcoin”. Benissimo, replichiamo. Ma non le pare che questo business sia troppo influenzato dall’andamento dei prezzi delle criptovalute e che dopo il recente crollo la domanda possa scomparire? “Con l’ondata precedente le banche hanno capito che quando la domanda parte, è importante poter disporre di una risposta. E il mercato ripartirà, perché il potenziale tecnologico è ancora altissimo. In questo momento noi stiamo sperimentando, tra i primi quattro operatori al mondo il lightining network, un’infrastruttura definibile come lo strato superiore della blockchain. Oggi la blockchain è una tecnologia efficiente solo per operazioni rilevanti, ma presto sarà possibile utilizzarla anche per micro-pagamenti. Quanto all’andamento delle quotazioni io suggerisco di non allocare in Bitcoin mai più di una percentuale limitatissima del proprio patrimonio, ad esempio l’1,5%, che non fa perdere il sonno di notte anche nel caso le quotazioni dovessero scendere”.

Arrivati a questo punto resta solo da capire dove guadagna Conio. In estrema sintesi la creatura di Miccoli compra Bitcoin su numerosi exchange (scegliendo quello dove è reperibile il prezzo migliore) applicando una commissione, giustificata dalla custodia e dal servizio della tripla chiave. Con Conio i clienti possono comprare Bitcoin anche per cifre limitate (anche solo 50 euro), oppure portare su Conio dei Bitcoin comprati su altri exchange. Tuttavia passare da Conio risolve anche un problema non di poco conto: quello fiscale. Comprare Bitcoin su una piattaforma estera comporta infatti la necessità di inserire poi nel quadro RW della dichiarazione dei redditi i movimenti di denaro in proprio favore ricevuti nel caso di una vendita. Cosa che sarebbe poi difficile da giustificare”. Ci lasciamo con una visione sul futuro: “Si creerà un sistema come quello delle banche ma basato sui Bitcoin”, mi dice Miccoli accompagnandomi all’ascensore. “E le banche diventeranno qualcosa di assimilabile a dei veri e propri operatori tecnologici”. Sarà davvero così? Nel frattempo l’ascensore arriva al piano. Le porte si spalancano e ne esce un ragazzo in felpa, cuffie e laptop aperto in mano che si incammina alla sua postazione. Se la profezia di Miccoli si rivelerà corretta, sarà questo l’aspetto degli impiegati di banca del futuro. Intanto a Conio è già così, ma c’è anche chi porta la cravatta.

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