I Bulldog della Brexit lasciano il Governo, cosa succede alla May?

A cura di Filippo Diodovich, market strategist IG
Le dimissioni del ministro della Brexit, David Davis, e quelle odierne del ministro degli esteri, il vulcanico Boris Johnson, hanno diminuito notevolmente il consenso e il clima di fiducia che il premier aveva pensato di aver conquistato dopo il vertice di Chequers dei giorni scorsi. Nella residenza di campagna del Primo Ministro nella contea del Buckinghamshire, la May era riuscita a strappare un accordo in 12 punti per portare avanti un approccio “soft” nelle trattative con l’Unione Europea.
L’uscita di David Davis ha portato uno scontato effetto domino con l’inizio di una gara per avere la leadership dei Conservatori. Tutti i riflettori erano puntati su Boris Johnson, leader degli Euroscettici, silente nelle ultime ore nonostante le dimissioni di David Davis. Dopo una lunga discussione tra Johnson e il suo staff di consiglieri politici l’ex sindaco di Londra ha scelto di dare anche lui le dimissioni mettendo ancora più pressioni a Theresa May.
Il Primo Ministro May sta così per affrontare una delle sfide più difficili da quando si è insediata come capo del Governo del Regno Unito.
David Davis è stato già sostituito da un altro Brexiteer, Dominic Raab. La May sembra, al momento, ancora mantenere il sostegno degli altri ministri in modo da potere proseguire con un approccio sulla Brexit molto “soft”.
Riteniamo tuttavia che l’uscita di Boris Johnson sia una vera e propria sfida alla leadership di Theresa May. Boris Johnson è stato uno dei promotori del fronte “Leave” durante il referendum del 2016. I timori degli investitori sono fissati su una possibile crisi di Governo (altri ministri “Brexiteer” potrebbero uscire dal Governo) e l’annuncio di nuove elezioni.
La May si trova così a fronteggiare tensioni interne (rivolta dei brexiteers capitanati da Boris Johnson e opposizione dei laburisti) ma anche tensioni esterne. Un’altra sfida di Theresa May sarà quella di far accettare il nuovo piano all’UE attraverso i negoziati. Il piano presenta infatti ancora una serie di problemi, non da ultimo il fatto che esso implichi una qualche forma di accordo simile a quelli già stipulati con Norvegia e Svizzera, e l’Unione Europea non è proprio entusiasta di nessuno di questi “deal”.
Anche adesso non si può escludere nulla, anche un mancato accordo. Il governo olandese continua a reclutare funzionari doganali in preparazione dello scenario peggiore. Ma scommettere su un possibile “Armageddon” non è mai stata la migliore strategia. La crisi dell’eurozona ci ha insegnato che l’Unione europea è molto brava nel concordare un compromesso all’ultimo minuto. Dobbiamo tuttavia prepararci a ulteriori turbolenze nei prossimi mesi.

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